Lo confesso: non ero un’amante del panettone. Non mi piacciono i canditi e trovarmeli nel panettone mi irritava…poi quella punta di acido in moltissime delle fette di panettone ( che da Ottobre in poi si trovano in tutti i supermercati tanto per avvantaggiarsi e non arrivare due mesi dopo senza la scatola dei desideri con, magari, la cartolina per vincere l’auto dei propri sogni..) ..insomma…non mi piacevano, che dovevo fare? Poi però è capitata una cosa buffa: che a Gente del Fud ci hanno fatto trovare, a metà Giugno, un panettone enorme da gustare in piena costiera sorrentina :)…e che panettone! Il panettone Loison…L’aspetto era bellissimo e allora ne ho provato un pezzettino-ino-ino…una rivelazione! A quel punto non sapevo se era l’atmosfera, il fatto di mangiarlo totalmente fuori stagione (che poi..perchè deve esistere una stagione per un dolce così??) o proprio la bontà intrensica, fatto sta che mi piacevano anche l’uvetta e i canditi..quindi ho concluso che dovesse essere un mero colpo di fortuna!
Poco tempo fa, ho parlato direttamente col Signor Loison in persona…che ha deciso convincermi che caso non era e di inviarmi un “dolce pensiero” (come dice lui)…..che dolce pensiero non era neanche per niente, perchè definire “pensiero” quella scatola delle meraviglie mi sembra riduttivo. Mi sono trovata, a metà Settembre, con un panettone al limone, uno al prosecco e uno all’amarena….li dovevo provare assolutamente e la scelta è ricaduta sul panettone all’amarena (con amarene grandissime dentro l’impasto..e senza canditi :) ). Una gusto che non vi posso dire…morbidissimo, profumato, non acido, equilibrato….Il Signor Loison mi ha convinto: il panettone mi piace! E anche parecchio e tanto da decidere, a Settembre, quali saranno i prossimi regali di Natale anche perchè la confezione è meravigliosa e questo non guasta mai!
Per me quel panettone è splendido e perfetto così..ma la Loison ha un intero sito dedicato a ricette “insolite” che hanno il panettone come protagonista: se ne possono trovare veramente di tutti i tipi e lo capisco, considerando le diverse di qualità di dolci che la Loison produce.
Io dò il mio piccolo contributo con un dolce fatto a partire, neanche a dirlo, con il panettone all’amarena.
RICETTA: DELIZIE DI PANETTONE ALL’AMARENA CON CHANTILLY ALLA NOCCIOLA, GLASSA AL MASCARPONE E RIDUZIONE DI AMARENA E MERLOT
Ingredienti:
Per la base
Per la chantilly alla nocciola
Per la glassa al mascarpone
Per la riduzione
Procedimento
Fate sciolgliere i 50 gr di zucchero a freddo finchè diventa dorato e unite le nocciole. Tostate per qualche secondo, versate su un foglio di carta da forno e fate freddare. Spezzate il croccante ottenuto grossolanamente e versatelo in un frullatore. Frullatelo finchè non avrà raggiunto la consistenza di una crema.
Per la chantilly alla: stemperare la crema pasticcera fredda di frigo con una frusta, al fine di ottenere una massa ben liscia ed omogenea; prelevatene circa la metà e scaldatela al micronde , quindi unite la colla di pesce ammollata e fatela sciogleire. Versate il pralinato aggiungete il resto della crema pasticcera fredda.
Nel frattempo montate la panna e unitela alla crema molto delicatamente, con un movimento del cucchiaio dal basso verso l’alto, in modo da ottenere una crema chantilly ben areata e leggera. Coprite con pellicola trasparente e conservate in frigo.
Per la glassa al mascarpone: unite al mascarpone la crema pasticcera, poi incorporate la panna leggermente sbattuta, ma ancora semiliquida.
Per la riduzione: mettete in un pentolino lo sciroppo di amarena (io ho preso quello che c’era nel vasetto di amarene sciroppate che ho usato per decorare), unite il Merlot e fate cuocere fino a che si sarà ridotto.
Per il montaggio del dolce: prendete 8 stampini da cup cake. Ritagliate due dischetti di panettone all’amarena della stessa misura dello stampino. Appoggiate un dischetto sulla base, unite uno strato di chantilly alla nocciola e coprite con un altro discehtto di panettone. Mettete in freezer per almeno mezz’ora (un’ora è meglio). Sformate i dolci dagli stampini e ricopriteli con la glassa al mascarpone (io li ho praticamente tuffati dentro la glassa :) ); adagiateli sul piatto di portata, versate la riduzione attorno al bordo e completate con un’amarena.
Mi è stato fatto notare che ultimamente ho una “lievissima” propensione per il viola. Notizia falsa e tendenziosa..semplicemente perchè ho una vera e propria fissazione col viola! Stoffe, piatti, foto, pure vestiti va…mi capita tutto viola! Il mio colore preferito è l’azzurro ma per questo periodo non se la deve prendere se il mio mondo è violetto. Immaginate voi che faccia ho fatto quando lei mi scrive dicendomi che ha possibilità di farmi avere delle patate violette! Ho scritto “sì le voglio” senza neanche aver finito di leggere la mail..le dovevo avere/vedere/cucinare. C’è una ragazza, Giovanna, davvero molto carina, che le produce in piccole quantità in un paesinodella provincia di Piacenza..le ha trovate in un mercatino francese e ha deciso di coltivarle per passione! Qui un pò di notizie su questi tuberi dall’aspetto fantastico!
Dopo essermi messa d’accordo con Giulia, il fatidico giorno ho preso La Pasionaria e, complice il ritiro delle patate violette, le ho fatto affrontare il primo viaggio in metro. La sua reazione al viaggio è stata lapidaria:
“Non mi piace il treno, mi piace il fulman. Ora vojo andà a casa a dindolare il papuccetto” . Traduzione: “non mi piace la metro, preferisco il pullman (che poi il pullman non l’ha mai preso..). ora vorrei andare a casa a dondolare il mio pupazzatto preferito nella sua culla”.
Preso l’oggetto del desiderio..che ci ho fatto? Prima di tutto le ho guardate: bellissimeeee! Ditemi voi se non hanno un colore fantastico. Al che, dopo i racconti di Giulia, sono stata presa dal sacro fuoco della cucina tuberesca e ho fatto, nell’ordine:
RICETTA: STRUDEL ALLE PATATE VIOLETTE E FIOCCHI DI LATTE
Ingredienti
Per lo strudel
Per il ripieno
Procedimento
Mettere la farina a fontana in una scodella, mescolare con il sale, versare l’aceto, l’olio e l’acqua (fate attenzione che ne serve pochissima), mescolare prima con un cucchiaio e poi continuare con le mani; formare una palla e spennellarla con uno strato sottile di olio, farla riposare sotto una scodella riscaldata per almeno mezz’oretta (io ho usato la platenaria all’inizio). Grattugiare le patate e la cipolla grossolanamente, regolare di sale aggiungere noce moscata, mescolare bene. Tirare la pasta su di un panno infarinato molto sottilmente, cospargere con pangrattato i due terzi della pasta tirata, spalmare con un po’ di olio la parte restante, adagiare le patate, i fiocchi di latte. Chiudere lo strudel rotolandolo e finendo con la parte senza ripieno, foderare una teglia con carta da forno e mettere lo strudel sopra con l’aiuto del panno. Infornare in forno preriscaldato a 180° e cuocere finché non prende colore (il mio è stato un’oretta)
La sperimentazione è solo all’inizio…anche se ho paura di finirle troppo in fretta..però devo dire che mi piacciono molto..e non solo per il trendissimo colore ma proprio per gusto!
Ecco qui i risultati:
Quando torno dalle ferie, arrivo a casa carica dei regali gastronomici (sempre graditissimi!) che mi fanno i vari parenti. Siccome solitamente l’ultima tappa del viaggio estivo coincide con un soggiorno in Valle d’Itria, il mio bagagliaio è normalmente carico di prodotti pugliesi provenienti direttamente dai terreni e dai giardini dei nostri zii e cugini (olio, marmellata, pomodori, formaggi vari, friselle, taralli, etc etc).
Quest’anno però ho avuto un inconveniente: mi hanno regalato 5 grappoli d’uva. Eh, direte voi, e allora? buona l’uva..te la mangi e via. Si dà il caso però che quella fosse uva Italia. Io non so se ce l’avete presente ma vi posso dire che con 5 grappoli avevo 13-kg-di-uva-dico-13. Mi spiace non averla fotografata perchè era uno spettacolo! Grappoli immensi, sui 60 cm e acini grossi più o meno come palline da ping pong e non è una battuta! Bellissima da vedere, indubbiamente, ma purtroppo questa super uva ha, come tutta l’altra uva normale, la brutta tendenza a deperirsi. Non sapevo veramente come fare! Un pò l’ho mangiata, un pò l’ho regalata (a malincuore), un pò l’ho messa nella grappa e con i restanti 5 kg? Puglia per Puglia, mi è venuto in mente che io solo lì mangio una marmellata che mi fa impazzire: la marmellata di uva bianca…e che marmellata sia. La ricetta l’ho presa da qui (così come quella per l’uva nera sotto grappa)..diciamo che ho fatto un mix fra il primo e il secondo tipo. Avendo quindi un pò di barattoli di marmellata, oggi ho provato a fare dei dolci che mangio spessissimo d’estate. Hanno una pasta fatta solo con farina, olio e vino bianco e un ripieno di marmellata (che può essere di uva, fichi, amarene, ciliege, etc etc). La ricetta me l’ha passata mia zia Giovanna e quindi la ringrazio molto perchè l’ho trovata ottima. Come per molti dolci tradizionali, ogni famiglia ha la sua ricetta personale (mia zia ne ha anche più di una..) ma ho provato questa e l’ho trovata buona!
RICETTA: FAGOTTINI DI MARMELLATA DI UVA BIANCA
Per la marmellata:
Ingredienti
Procedimento
Far cuocere a fuoco moderato, senza aggiunta d’acqua, l’uva ben matura unita allo zucchero. Mescolare spesso e lasciar cuocere fichè avrà preso la giusta consistenza. Se la si desidera meno grumosa, passarla al minipiemer e poi metterla calda nei vasi sterilizzati, chiuderli e capovolgere il barattolo. Lasciare in questa posizione fino a completo raffreddamento.
Per i fagottini
Ingredienti
Procedimento
In un pentolino, scaldare l’olio e il vino fin quasi a bollore. Versare son cautela culla farina e impastare fino ad avere un impasto omogeneo (io l’ho fatto con la planetaria, usando la folgia). Far riposare l’impasto finchè diventa a temperatura ambiente. Stendere l’impasto, ritagliare dei cerchi di circa 8 cm di diametro, riempire con la marmellata d’uva una metà del cerchio, ripiegare a metà e chiudere il fagottino. Ricoprire una teglia di carta forno, poggiare i fagottini e cuocere per 45 minuti a 170°-180° (dipende un pò dal forno..)
L’ultimo numero di Bibenda, la rivista per gli appassionati del mondo del vino, fa seriamente riflettere. Parla di un tema a me molto caro, quello dell’olio extravergine di oliva e quando l’ho letto ho tirato un sospiro…di sollievo no ma di soddisfazione. Erano anni che pensavo certe cose e finalmente vederle scritte anche da qualcuno competente del settore mi ha fatto piacere. Non mi ha consolato, dato l’argomento ma mi ha fatto molto piacere.
Sandro Vannucci racconta di una sua visita sul campo (cioè in supermercato) per cercare di capire un pò cosa gira intorno al mondo dell’olio. Bottiglie messe senza ordine, con confusione, sistemate nè per prezzo, nè per tipo, tantomeno per marca o per regione. Esiste qualcosa che si chiama diritto di scaffale.. e non lo sapevo. In pratica un supermercato viene pagato perchè posizioni un certo tipo di olio in una certo modo. E poi ci sono i prezzi, Olio di oliva a 3-4 euro, prodotto con la Piqual (l’oliva più diffusa in Spagna). Ci sono poi quelli tra i 5-7 euro, con etichette che indicano “miscele di oli comunitari”. Nascosti bene ci sono anche gli oli italiani, non meglio identificati: per esempio un olio col nome di un lago umbro e imbottigliato a Latina…la tracciabilità resta comunque un miraggio.
A me succede spesso di ascoltare persone che, con l’aria di chi la sa lunga, ti spiegano che comprano l’olio extravergine di oliva a 3 euro e che in pratica chi spende di più lo fa
a) perchè è un pò scemo e si fa fregare
b) perchè paga solo il nome famoso e nulla più.
Ecco..io personalmente questi discorsi non li reggo. Perchè? Molto onestamente, la crisi c’è per tutti e spesso oggi una famiglia fa sacrifici per far quadrare i conti e deve risparmiare sulla spesa. Benissimo, vale per la maggioranza di noi. Su alcune cose mi devo accontentare altre proprio non le compro. Però non dico che compro a un prezzo stracciato olio extravergine di oliva, perchè i miracoli non li fa nessuno. Per guardagnarsi quel nome, un produttore italiano serio, investe sui raccolti, sulle tecniche, sul materiale, sulle strutture. Studia, si aggiorna, fa una spremitura ad arte e sceglie le olive con criterio. C’è un lavoro enorme dietro. E un lavoro così non può costare poco. Impossibile. Anzi, per essere precisi, un olio non costa: vale. Magari ne compro meno, sto più attenta al resto ma non è giusto dire che un olio da 3 euro è equivalente a uno da 15, per rispetto di chi lo produce applicando tutto ciò che la legge prevede. E’ una questione di etica intellettuale.
Anche il secondo articolo di Bibenda mi ha molto colpito, per varie ragioni a dir la verità. E’ di Lamberto Sposini (che ora è ricoverato al Santa Lucia…ve lo volevo solo ricordare e gli faccio i miei più sinceri auguri di guarigione). Sposini produce un olio extravergine di oliva..ma non è in vendita. Lo produce per se e i suoi familiari e amici. Dice che non può permettersi di venderlo perchè, per come lo produce lui, dovrebbe costare 20 euro.. e si indigna perchè a suo parere oggi c’è poca educazione alimentare. In un mondo dove tutti cominciano a conoscere i fagioli speciali di quel paese sperduto o il salame prodotto in piccolissima quantità in un posto sconosciuto, la maggioranza di noi bistratta l’olio che è l’elemento fondamentale per la riuscita di un buon piatto oltre che base fondamentale della cucina italiana. Come quando in tv, dove si cucina ormai 24 ore su 24, si conclude una ricetta con la frase “un filo d’olio a crudo” senza dire nulla su quale olio, quale profumi, quale origini…. E’ vero, Sposini ha ragione. Forse dovremmo coccolarlo un pò di più, l’olio extra vergine d’oliva perchè è davvero il nostro oro quotidiano.
Ero impegnata a cucinare, dato che avrei avuto ospiti ed ero anche abbastanza rilassata perchè in quel momento i due furfantelli non si stavano picchiando, non si facevano dispetti e non tentavano complicate mosse di kung fu ai danni l’uno dell’altro: stavano semplicemente giocando ognuno per i fatti propri. Ho approfittato cercando di prepare più cose possibili un pò in anticipo per la sera..e neanche mi sembrava vero che non mi chiamassero da circa 10 minuti. Infatti, regolare come un orologio La Pasionaria fa “mammaaaa, mi dai l’acqua??? però lasciamela sul tavolo e non guardare, la prendo io”. Ecco, sono stata ingenua. Io ero contenta che venisse a prendersi l’acqua senza fare storie…così non dovevo neanche allontanarmi troppo dalla cucina. Riempito il bicchiere, l’ho posato sul tavolo, mi sono accertata che lo prendesse e ho continuato a cucinare. Dovevo immaginarlo che non poteva essere così facile.
Dopo 10 minuti di altro dorato silenzio (che, giuro, non mi pareva vero) arriva lei con il suo sorrisetto e mi dice:
“mamma, ho innaffiato il giardino”
L’affermazione, fatta da una bimba di 3 anni, era straordinaria. Ancor più straordianria se consideriamo che noi non abbiamo un giardino. Dopo un mio silenzioso profondissimo mea culpa e un’alzata degli occhi al cielo, le ho chiesto:
“quale giardino?”
” Vieni, che ti faccio vedere”. Mi ha presa per mano e mi ha portato sul luogo del delitto. Il giardino altro non era che il pavimento davanti alla finestra. Poi siccome evidentemente trovava che anche il divano fosse arido, aveva innaffiato anche quello. Non accontendasi di un così piccolo spazio verde, aveva proseguito bagnando tutto il tappeto di fronte al divano. Il fratello, pregustando la molto probabile mega-rimproverata, mi dice (con una grossa punta di soddisfazione) “ha preso le bolle di sapone, ci metteva un pò di acqua e buttava, un pò di acqua e buttava, un pò di acqua e buttava..” Il concetto era chiaro e lo scopo di prendersi il bicchiere d’acqua senza farsi vedere anche. Quindi, oltre a un giardino ben irrigato, avevamo anche un pavimento, un divano e un tappeto pieni di sapone. L’ideale, quando si hanno ospiti.
Abbiamo, o meglio ho, ripulito tutto e poi mi sono ridedicata alla ricetta, che, credetemi, meritava. L’ho presa, dal sito di Luciano Pignataro: come scova ricette buone lui, nessuno!
RICETTA: IL MEZZO PACCHERO CON TOTANI, PATATE E COZZE di Angelo D’Amico
Ingredienti (per 4 persone)
Procedimento
Preparate una salsa di totani: prendete una casseruola, fate un soffritto d’aglio, peperoncino, prezzemolo e adagiatevi subito i totani prima che il tutto possa bruciare. Sfumate con un po’ di vino bianco, lasciate evaporare ed aggiungete i pomodorini tagliati in quattro. Aggiustate di sale q.b e ultimate la cottura. Aprite separatamente le cozze con olio e aglio, sgusciatele e tenetele da parte con la loro acqua. Preparate intanto le patate tagliate a cubetti da sbollentare leggermente in acqua e sale. Adoperate una padella alta ed ampia, spadellate le patate con aglio e timo, aggiungete la salsa di totani, le cozze e mantecate il tutto con i paccheri che avrete cotto al dente. Servite ben caldo guarnendo il piatto con foglioline di timo e qualche cozza.
Avete presente i discorsi fra chi è andato in ferie all’estero e racconta di viaggi avventurosi, costosi, emozionanti , etc. etc e chi risponde sconsolato “eh..io sono andato solo al mio paese d’origine”, avendo un’espressione che è un misto d’invidia e vergogna? Ecco…io faccio parte delle persone che vanno, rigorosamente ogni anno, nel paese (o meglio, nei paesi, nel mio caso) d’origine. La differenza è che ho sempre un’espressione sognante e l’entusiasmo di rivedere certi posti. Perchè? Beh, di Sapri vi ho parlato fino alla sfinimento quindi vi risparmio. L’altra zona (quella di origine di parte di mammà) è una cosuccia da nulla, una zona che proprio non si distingue: la valle d’Itria. Abbiate pazienza, ma se uno va in piscina vicino alla casa in campagna della nonna e la villa del vicino confinante è quella di sopra, mi spiegate come si fa a rimanere indifferenti? L’Italia è meravigliosa tutta e questa è una certezza ma, consentitemelo, certe zone sono al di fuori di ogni catalogazione. Dove le trovate case così?
E fosse solo quello! Quando vado in Puglia conto di:
Non sarà proprio come visitare una città straniera ma sinceramente non mi lamento (se non fosse per la totale mancanza di copertura che ci impedisce di usare cellulari e usufruire di internet…noi siamo in mezzo al triangolo delle Bermuda della rete mobile..vi prego fate qualcosa!). Nel quadrilatero fra Ostuni, Martina Franca, Cisternino e Ceglie Messapica si rischia di perdersi fra le bellezze del territorio, l’arte, la storia e (manco a dirlo) la gastronomia tanto che, prima di prenotare una vacanza da quelle parti, bisogna essere sicuri di avere un ottimo motivo per tornare a casa! Quest’anno siamo andati alla Sagra delle Orecchiette di Caranna (contrada di Cisternino) (non ci ero mai stata prima, forse perchè, avendo una nonna pugliese, mangio orecchiette tutte le domeniche da quando sono nata.. :) ), Albertino è riandato allo Zoo Safari di Fasano, portandosi dietro un cobra di gomma, un cappello con tutti gli animali e il racconto delle dita messe nel naso di una giraffa/ cammello (non ho capito quale dei due), La Pasionaria ha mangiato tutto quello che poteva mangiare e anche di più (vedi foto post precdente), dedicandosi con passione a cercare di capire se preferisse il pane di patate (la peddica, in dialetto), il pane di Matera, la focaccia pugliese, i nodini di martina Franca e..non ultimo…le orecchiette che..tadannnnn…quest’anno ho imparato a fare! Ho preso la storica decisione: non si poteva perdere una tradizione così, quindi mi sono messa vicina a mia nonna e , con metodo, ho cercato di applicare il movimento che, in teoria, era perfettamente chiaro nella mia mente! In teoria, certo. Ho fatto un intero vassoio, mentre mia nonna ne ha fatti 4, e la forma delle mie orecchiette era un pò…naif…ma sono orgogliosissima (se non fosse che mia madre ridacchiava del loro aspetto..anche se poi se l’è mangiate eccome).
Consigli se passate da quelle parti?
Non vi perdete gli agriturismi e le masserie in genere (l’Agriturismo Grotta di Figazzano lo garantisco!…e questa pure, anche solo per una visita ) e, se tenete al vostro palato, non mi perderei il Biscotto Cegliese, i Dolcetti Mandorle e Fichi (non ve lo posso dire cosa sono) e gli Spumoni (il famoso gelato… ve ne parlerò meglio!), il tutto al Caffè centrale di Ceglie a Corso Garibaldi 22. Poi, se passate dalle parti di Pascarosa, mia nonna e suoi parenti hanno sempre scorta di prugne “cuore di donna” (si chiamno così…non è bellissimo???), fichi, mele cotogne, mandorle… ve ne offro un pò, volete?
P.S.: da bravi rabdomanti internettiani, abbiamo trovato vicino casa un punto in cui compariva una tacca..a volte anche due! Vi mostro il mio internet point personale!
Sono stata a trovare Angela. Il che vuol dire che non solo ho conosciuto una delle persone più solari e gentili di sempre ma vuol dire anche che ho visitato Matera. In realtà faceva troppo caldo (era il 17 AGOSTO) e con bimba dietro e ginocchio malandato non ho potuto visitarla come sarebbe stato doveroso ma sono andata via con la voglia di tornarci al più presto. Matera è incredibile: un’altra dimensione! E’ un’opera d’arte a cielo aperto, da togliere il fiato! E’ emozionante anche solo stare a guardarla..figuriamoci fare il tour dei Sassi (che purtroppo non ho fatto e che farò sicuramente in futuro). E poi il negozio di Angela è bellissimo!!! Davvero elegante e raffinato..e ricco di cose buone!
Tra l’altro ho anche visto le famose melanzane rosse di Angela (per qualche ricetta andate da lei) che sono veramente particolari: la gente le scambia per peperoni, pomodori..tutto tranne che melanzane!
Però il re della giornata è stato lui: il Pane di Matera! Angela mi ha mandata da un suo produttore di fiducia, Antico Forno a Legna di Perrone Lucia & c (vi consiglio caldamente di far loro una visitina), che ha un forno storico grandissimo (saranno 4-5 metri..basta guardare la pala in legno con un manico che sarà almeno 3 metri). Un paradiso gastronomico.
In quel forno ho visto moltissimi prodotti: i taralli dolci e salati, quelli alla Malvasia, le strazzate materane, la focaccia…ma indubbiamente il pane ha un fascino tutto particolare. Il sapore, la forma particolare che rimanda al paesaggio della Murgia materana, le caratteristiche organolettiche..tutto ricorda il ruolo che ha il pane nella vita di questa città. Fino alla fine degli anni ’50, ogni famiglia materana imprimeva sulla forma di pane da infornare il proprio marchio, con un timbro in legno, per poterlo riconoscere dopo la cottura.
Una volta tornati a casa, ci siamo fatti una scorpacciata di pane di Matera. Com’era?? Beh, posso solo dirvi che una certa persona l’ha apprezzato tantissimo e vi lascio un paio di foto che possono testimoniare il suo livello di gradimento :)
Io voglio dare per scontate che certe cose capitino a qualsiasi mamma. Deve essere così, perchè altrimenti c’è qualcosa di strano in quello che mi dicono i miei figli, che, a turno, se ne escono con discorsi che hanno il potere di lasciarmi basita. Io non commento, fate voi!
DISCORSO ALBERTINIANO:
(preambolo: mea culpa! Ogni tanto a casa mia si fanno i giochini psicologici per cercare di carpire che idea abbia il minore in esame, degli adulti che lo circondano! E’ un’operazione sadica, lo so…e quindi mi sta anche bene se una volta tanto sono stata bastonata da Albertino…però così si esagera).
Io: ” Se tu fossi un animale, che animale saresti?”
Albertino: “Il leopardo” (risponde con grossa convinzione)
Io: “E papà?”
Albertino: “Papà sarebbe un cane…e anche uno squalo” (beh..è il suo compagno di giochi e lo ha visto nuotare per ore, quindi come risposta è appropriata)
Io:” E la sorellina?”
Albertino:” Un micetto” (ovvio…ora quei due sono nella fase di quiete pre-litigio e quindi lui è tenero verso di lei)
Domanda fatidica…
Io” E mamma?”
Albertino “hummm….tu sei un DINOSAURO”
Io” ???????????????????????????????”
Come un dinosauro????? Le altre volte ero stata, nell’ordine, un delfino (va beh..è intelligente), un cavallo (ci può stare, è elegante), un’aquila (e qui si vede che il bimbo è perspicace:) )…ma il dinosauro? Per stazza, età, condizione della pelle e estetica generale…non ci siamo! Non è che sia così lusinghiero! E poi perchè?? Che ho fatto di male per passare dall’aquila al Dinosauro?
Con la massima vaghezza possibile, guardando in giro chiedo:
” Ehmm…e perchè proprio il dinosauro?”
Albertino: “perchè è il mio animale preferito”.
Considerando che siamo nel periodo in cui gli-animali-preferiti sono i più brutti e spaventosi sulla faccia della terra (serpenti, topi, ragni, lucertole e così via) penso con terrore a quale sarebbe la prossima associazione e decido che questi giochetti sono sciocchi e obsoleti! Tipici degli anni ’70! Ti pare che devo ricorrere a queste cose? No. Direi di no.
DISCORSO PASIONERESCO:
(Preambolo bis: come ogni santa donna che si rispetti, io non ho mai niente da mettermi. Non è che sia chissà quanto disordinata..è che proprio i vestiti scappano e non li trovo. Non parliamo poi delle scarpe! Sull’armadio è inciso: “di scarpe e borse non se hanno mai abbastanza!”. Così, tanto per ingannare il tempo, davo un’occhiata del tutto “disinteressata” a delle scarpe da donna )
Mentre osservavo il sito, arriva la Pasionaria che prende una sedia e si mette vicino a me.
Pasionaria: ” Ah, so belle mamma…io vojo le scarpe da pincipessa”
Io: ” dai, guardiamo allora un pò di scarpe per te” (e ingenuamente sono andata sulle scarpe per bambina)
Pasionaria” Nooooo..queste non sono da pincipessa, sono per le piccole! tu me le compri da grande, va bene mamma?”
Io, tanto per assecondarla, sono andata sulla pagina delle ballerine, tanto per farle vedere una cosa da adulta ma non troppo distante da lei.
Pasionaria: ” Ma nooo..così sono brutte! io le vojo col tacco come le tue e così le vojono pure le mie amichette e dicono che c’ho le scarpe belle”
Io”???????????????????”
Pasionaria” me le fai al compleanno mio e mi fai la festa!”
Sinceramente ho glissato: le ho promesso una bella torta da principessa, pensando al fatto che a 3 anni ha le idee molto più chiare delle mie in fatto di moda…devo distrarla dal pensiero altrimenti mi manda in rovina :)!
E che torta da principessa sia! Mi diverto sempre molto a decorare la doll-cake! La base (cioè la gonna della bambola) è una torta al pistacchio, la stessa che ho usato qui, mentre la decorazione è fatta con pasta di zucchero, royal icing e perline. Per la pasta di zucchero uso questa ricetta:
RICETTA: PASTA DI ZUCCHERO
Ingredienti
Procedimento
Mettere l’acqua in un pentolino e aggiungere i fogli di gelatina ad ammollare. Aggiungere il glucosio e mettere su fiamma bassissima fichè non diventano completamente liquidi. Versare il liquido sullo zucchero, precedentemente setacciato e mescolare bene fino ad ottenere la massa di pasta di zucchero.
Accorgimenti
P.S.: devo dirvi la faccia che ha fatto la piccola furfante quando ha visto la pincipessa ??? ^_^
Albertino ha un rapporto particolare con le favole: le impara, memorizzando gli eventi, i dialoghi, i personaggi e poi le rielabora a modo suo…molto suo. Ve lo ricordate il suo racconto, in pieno pranzo pasquale, di Cappuccetto Rosso? Ecco, un bell’esempio direi. Stavolta è stato il turno di Biancaneve. In realtà, ad un’occhio esterno si rivelava una scena classica e tranquilla: Albertino-mimì e la Pasionaria-cocò giocavano con le bambole di Biancaneve e di Cucciolo (regalo ricevuto da Cocò per il suo compleanno). Il regista era Albertino-mimì che teneva Cucciolo ma curava i dialoghi sia di Biancaneve che del nanetto: alla sorella aveva lasciato il compito di fare i rumori vari e lei svolgeva il compito con entusiasmo. Io ero seduta nelle vicinanze e leggevo la posta, avendo il solito orecchio puntato verso la lora zona, per intervenire in caso di emergenza (strilli, capricci, graffi e botte varie… normale amministrazione fraterna insomma). Così sentivo distrattamente i loro discorsi, che vi riporto fedelmente:
Albertino-Cucciolo: “tu, Biancaneve, piccola intrigante..hai provato a rubarmi ma non ce l’hai fatta”
paionsria-Cocò “pssssss (ha fatto un rumore a caso)”
Albertino-Biancaneve” Tu nano non ce la farai a distruggermi”
Albertino-Cucciolo “ecco la mia ascia -Pasionaria, dammi l’ascia- e io ti sconfiggerò con un calcio rotante e una botta in testa”
Paionaria” Bum bum nooooooo (simulava l’ascia…per lei faceva quel suono)
Albertino-Narratore” E biancaneve prese la botta in testa e urlò e poi..fiuuuuuu…..Cadde, conme corpo morto cade” (Inferno, Canto V)
Mia madre. Solo lei poteva essere la colpevole. Albertino, quasi 6 anni, che citava Dante per indicare lo svenimento di Biancaneve. Dovevo aspettarmelo. D’altronde, se io a 9 andavo in giro recitando le terzine iniziali della scritta della porta dell’Inferno (per me si va nella cottà dolente, etc. etc.), mio figlio poteva pur citare il semplice svenimento. Lo so, la nostra è un’infanzia difficile….ormai chi ne verrà più fuori????
E meno male che non mi ha chiesto nulla di dantesco per la sua torta di compleanno! Anzi, ha voluto un comunissimo “Leone Cane Fifone” sulla sua torta, con la minaccia di non compiere gli anni se non ci fosse stato il simpatico cane rosa come personaggio tortesco!!! Potevo forse non fargli compiere gli anni??? Direi di no..così, dato che non era affatto interessato all’interno della torta, ho fatto un dolce di Salvatore De Riso (complice una bella quantità di fichi bianchi del Cilento regalati a mio nonno da un caro amico!) e il personaggio del suo cuore in pasta di zucchero (che poi, secondo la migliore tradizione..si è mangiata la Pasionaria!!!!)
RICETTA: DOLCE PASSIONE
Ingredienti
Per la pasta frolla alla nocciola:
Per il ripieno di fichi bianchi del Cilento e cioccolato
Per la crema di ricotta di bufala
Per la confettura di fichi bianchi del Cilento
Procedimento
Per la pasta frolla, inserite tutti gli ingredienti in un robot da cucina ed emulsionate per circa un minuto. Quando la pasta risulterà compatta toglietela dal robot e conservatela in frigorifero per circa 30 minuti. Poi stendetela spessa circa 5 mm su una teglia da forno. Ricavate un cerchio di circa 20 cn di diametro e cuocete in forno a 180° C per 20 minuti. Lasciate raffreddare a temepratura ambiente. Per il ripieno di fichi bianchi, frullate i fichi con il atte e l’amido fino ad ottenere una miscela omogenea. Versatela in una pentola e cuocete a fuoco dolce fino a 90° C. togliete la crema dal fuoco e aggiungete il cioccolato fondente. Mescolate fino a completo scioglimento del cioccolato e versate in uno stampo di 20 cm. Trasferite in freezer fino a completa congelazione. Per la crema di ricotta: con una frusta elettrica, mantecate la ricotta con lo zucchero a velo per circa 4 minuti. Aggiungete i gherigli di noce a pezzettini. Per la confettura, frullate i fchi con lo zucchero e grappa. Fate cuocere in una casseruola fino a 104°. Aggiungete il succo di mezzo limone. Lasciate raffreddare a temperatura ambiente. Componete la tortaq: su un piatto da portata sistemate un anello di acciaio di 22 cm di diamtero e lato 4 cm e all’interno mettete il disco di pasta frolla alle nocciole. Sopra stendete uno strato di circa 5 mm di crema di ricotta. Al centro adagiate il disco congelato di crema di fichi e cioccolato. Ricoprite con la rimanente crema di ricotta e lisciate la superficie con uan spatola di acciaio. Trasferite la torta in freezer per 3 ore. Poi con una spatola di acciaio glassate la superficie con la confettura di fichi. Togliere il cerchio di acciaio e decorare la torta con delle gocce di cioccolato fondente e noci.
In questo periodo mi sto facendo una cultura: Letteratura? Filosofia? Storia? no…cibo naturalmente (tanto per cambiare) :). Vi pare che potevo lasciar passare questo periodo senza approfondire argomenti seri come pane, dolci, focacce, brioche e così via???? E allora vai col tour gastronomico: se in Francia è di moda il viaggio organizzato per esplorare le case produttrici di Champagne non posso fare io il pane-di-grano- duro-tour?
La cosa bella del vivere in un paese è che bene o male conosci un pò tutti. Quindi sai perfettamente quale negozio ha un buon pane, chi fa dei dolci tradizionali con ingredienti genuini, chi produce mozzarelle fantastiche e così via. Come tutte le famiglie del sud, qui a Sapri noi siamo dotati di un mumero di parenti ragguardevole, per non contare compari e comari dei miei nonni e gli amici vari (compagni di scuola, vicini di casa, etc. etc.). Insomma, c’è una specie di piccola rete che collega il paese. E sono proprio contenta che fra i parenti stretti siano presenti quelli che hanno prodotti buoni, talmente buoni da essere pubblicizzati dal Gambero Rosso, Slow Food, varie trasmissioni culinarie etc. Uno di questi, è il forno di Clotidle Zicca.
Mia nonna usava fare la “lista” delle persone da andare a trovare non appena noi nipoti arrivavamo dalla città! Clotilde e sua sorella Palmira avevano un posto speciale per lei…erano sempre fra le prime! Mi ricordo che ne parlava non solo con affetto ma con tanta stima: lei era una cuoca provetta e quindi riconosceva in loro il talento e la passione per il pane, per i dolci e tutti i prodotti da forno! Una passione in comune così non poteva che unirle molto! E poi andarle a trovare voleva sempre dire qualche brioche regalata, un pò di pane o di pizza calda, un cornetto a mezzanotte assicurato.., diciamo che si univa l’utile al dilettevole. Ora mia nonna non c’è più ma io in quel forno ci vado sempre e continuerò a farlo.
Ultimamente ho riscoperto, grazie alle pazienti spiegazioni del figlio di Clotilde, Marco (che insieme al resto della famiglia si occupa della forneria) Il Pane del Pescatore. “U Pane ri pescatori” ha un’antica ricetta un tempo molto diffusa proprio presso gli abitanti della costa. Un pane che aveva una lunga durata e che quindi era adatto ad essere portato nei lunghi viaggi in mare. La storia vuole che nasca dall’abitidune dei pescatori di cuocere le alici sulla marmitta calda della barca e di mangiarle, una volta cotta, col pane di grano duro. L’impasto è costituito da farina di grano duro, acqua, sale, lievito naturale, alici sotto sale, olive verdi e nere. I tempi di lievitazione variano secondo stagione: d’inverno occorrono circa qauttro ore, d’estate 90 minuti. La cottura avviene in forno alegna per un’ora e 40 minuti a 245°. Clotilde mi ha assicurato che è un pane che dura tranquillamente una settimana e che è ottimo tagliato a fette, bruscato e mangiato, per esempio, con una zuppa di polpo.
Ho visto tanti altri prodotti: il pane di grano duro, la pizza ripiena, le ciambelle prosciutto e formaggio, il pane di kamut, le freselle del pescatore e le brioche sapresi. Quest’ultime mi hanno colpito per la ..ehmm… forma! Mio padre conferma che da piccoli loro se le mangiavano sempre, e costavano 30 lire (se considerate che un gelato veniva 10 lire…) .Era un dolce della domenica! Nella prima foto..indovinate un pò qual è la brioche in questione? E’ buonissima e molto morbida… ottima col gelato..ma io me la mangio così, in purezza. E dopo questo angolo di ricordi, vi lascio un pò di foto (non rendono giustizia alla bontà di quei prodotti..quindi se siete curiosi, non vi resta che passare da queste parti!)