Pici “Infernali”, il cibo e la Divina Commedia
Al tornar de la mente, che si chiuse
dinanzi a la pietà d’i due cognati,
che di trestizia tutto mi confuse,
novi tormenti e novi tormentati
mi veggio intorno, come ch’io mi mova
e ch’io mi volga, e come che io guati.
Io sono al terzo cerchio, de la piova
etterna, maladetta, fredda e greve;
regola e qualità mai non l’è nova.
Dante è appena uscito dal secondo girone infernale. Sta lentamente riemergendo alla lucidità dopo essere venuto meno in seguito al doloroso e commovente discorso fatto da Francesca e da Paolo: il loro pianto e il loro racconto l’hanno mosso a tal punto di pietà da non riuscire a mantenersi e caddè “come corpo morto cade”.
Rinvenutosi, si trova nel girone dei golosi, quello dove “per la dannosa colpa de la gola”, i dannati sono costretti a giacere col viso rivolto verso la terra, imputridita da grandine, acqua scura e neve. Cerbero, “fiera crudele e diversa”, con le sue tre teste e le mani unghiate, graffia e squarta gli spiriti, e abbaiando rintrona le anime tanto che l’unico desiderio è quello di essere sordi.
Questa è la pena prevista da Dante per coloro che hanno lasciato che i piaceri del cibo sopraffacessero la loro ragione, la loro volontà, che il mangiare diventasse la ragione del vivere.
Il legame fra il cibo e la Divina Commedia è profondo. Lo stesso Boccaccio parlando del rapporto di dante col cibo scrive: “Nel cibo e nel poto fu modestissimo, sì in prenderlo all’ore ordinate e sì in non trapassare il segno della necessità… né alcuna curiosità ebbe mai più in uno che in uno altro: li dilicati lodava e il più si pasceva di grossi, oltre modo biasimando coloro, li quali gran parte del loro studio pongono e in avere le cose elette e quelle fare con somma diligenza apparare, affermando questi cotali non mangiare per vivere, ma più tosto vivere per mangiare”.
Dante quindi, non amava la ricercatezza nel cibo, ma la sobrietà, il mangiare semplice il rispetto delle regole canoniche.
Ricordiamo che viveva in un’epoca in cui erano ben presenti le indicazioni dei padri della Chiesa. La gola era uno dei sette vizi capitali e i dottori della Chiesa avevano una sottile casistica del modo in cui il peccato poteva consumarsi: praepropere laute nimis ardenter studiose (‘mangiando fuoritempo, molto frequentemente’; ‘ricercando cibi prelibati’; ‘eccedendo nella quantità’;‘con soverchia avidità’; ‘esagerando nei condimenti’). Dante sembra tenere molto a queste indicazioni, così come all’abitudine medioevale di mangiare due volte al giorno: la mattina fra le 9 e le 10 (il desinare) e la sera, al tramonto del sole (il cenare). Solo i nobili e i ricchi indulgevano nel mangiare tre volte, introducendo il rito della merenda, insieme alla raffinatezza dei tovagliati, ai buffoni e ai giullari. Tutti artifizi che Dante non approvava.
Eppure quanta pietas nei confronti dei lussuriosi prima e dei golosi poi. Tanto è vero che si ritrovano nei primi due gironi infernali (quelli meno “gravi”) e si ritroveranno, nel purgatorio, nelle ultime due cornici prima di poter accedere al paradiso.
Perché questo lungo discorso su Dante e sul poema sacro dove il Sommo Poeta ha” posto mano cielo e terra”? In un certo senso la “Colpa” (o meglio dire il merito) è della Patty e dell’mtc di questo mese! Mi perdoneranno i dantisti e i puristi della Divina Commedia. Amo Dante anche io e sicuramente l’intenzione non è quella di mescolare il sacro con il profano ma succede che anche una ricetta possa farti ricordare un grande poeta e così d’improvviso farti venire la voglia di andare a investigare sulla cucina di quello specifico periodo. D’altronde credo che ormai gli stessi toscani abbiano fatto il callo all’associazione Toscana-Dante. Pensando così ai pici, ai piatti tradizionali e ad un prodotto slow food ormai quasi scomparso ma molto comune nei secoli addietro mi son trovata a pensare a quale fosse il mangiare di Dante, considerando come spesso tante descrizioni della Divina commedia richiamano il gergo tipico delle ricette. Leggendo un libro interessante e cercando qua e là in rete, di cose se ne trovano molte. E capisci anche come intuizioni, modi di dire e di fare in cucina si siano trasmessi invariati nel corso dei secoli. Fino a quel momento la popolazione più povera mangiava solo pane di orzo e di altri cereali (“biada”) mentre è solo nel perdio di dante che si diffonde , soprattutto per i più ricchi, il “pan degli Angeli” ovvero il pane bianco, pane di frumento. Pian piano la farina di frumento entrerà nella vita della gente fino a diventarne parte integrante, ma ai tempi dante era una rarità.
Ed io, in un pomeriggio piovoso, (come ho capito la piova etterna, maladetta, fredda e greve dantesca!) mi son ritrovata con questi pensieri del cibo medievale e con la voglia di inventarmi del pici. Dopo aver riletto l’inferno della Divina Commedia, mi veniva in mente solo un piatto povero ed umile, con ingredienti un po’ lontani dal nostro quotidiano ma tutti da recuperare. Avevo la roveja di Civita di Cascia , questa sorta di pisello selvatico con sentore di fave e di erbe, usata tuttora in Umbria per molte zuppe, bruschette e, ridotta in farina, come polenta condita con acciughe, aglio e olio. Mi sembrava il momento buono per riprovare dei sapori sicuramente non comuni per noi, ma antichi, non sofisticati dal nostro tenore di vita gastronomico. Il connubio non mi ha certo deluso.
La ricetta dell’impasto dei pici la trovate nel post precedente. In questo caso ho aggiunto 50 g di farina di roveja (ottenuta, banalmente, usande il cutter migliore che avevo e un buon setaccio)..ha assorbito un po’ di acqua in più rispetto al normale impasto, ma nulla di trascendentale (che ci sta bene in questo caso, diciamolo!).
Devo però fare ammenda: mi sono lasciata tentare da un paio di fettine di Lardo di Arnad da aggiungere per insaporire sia la roveja che il condimento a base di cipolla. Credo che, agli occhi di Dante, questo mi costerà qualche secolo in più al Purgatorio, se non una destinazione peggiore….decidete voi cosa rischiare!
Ingredienti
- 1 cipolla grande a testa
- 50 g di farina di roveja (da aggiungere nell'impasto dei pici)
- 50g di roveja
- alici sott'olio (una a testa ma dipende anche dai gusti)
- salvia
- aglio
- 2 fette di lardo di Arnad
- sale
Procedimento
- In un pentolino, far rosolare uno spicchio d'aglio nell'olio evo e aggiungere la roveja. Coprire con acqua e lasciar cuocere per almeno 40 minuti. Quando ormai la cottura è quasi a termine, aggiungere una fetta di lardo di Arnad e far sciogliere per insaporire il legume.
- Tagliare la cipolla a fettine sottili e metterle a soffriggere a fiamma bassa in una padella con olio evo (cuocere almeno 30 minuti a fiamma bassa e aggiungere un goccio di acqua qualora si asciugasse troppo) Aggiunger le alici sott'olio e la parte grassa di una fetta di lardo di Arnad.
- Scolare la pasta, condirla con la cipolla,la roveja e regolare di sale.
24 Comments
Valentina
21 Gen 2013 07:01 pm
Quanto mi piace questo post!! I pici sono paradisiaci… o maledettamente buoni?? :)
Bellissima l’introduzione dantesca, interessante davvero.
Caris
Grazie!!! speravo(incrociando le dita) di non essere stata troppo noiosa!!Un bacione!!!
Lara
21 Gen 2013 09:01 pm
Ti trovo tra i pici, e se gia il leggere la ricetta era interessante, figuriamoci poi il sapere la pena che dante inflisse ai golosi… hai risposto a una domanda che mi facevo giorni addietro
Caris
:DDD è che Dante prima o poi torna sempre!!!!
emmetichallenge
21 Gen 2013 09:01 pm
siccome non conosco il sapore della roveja e non riesco ad immaginarlo, ho provato a considerare il tuo piatto da un punto di vista meramente teorico: un po’ come si faceva al liceo con le reazioni chimiche, in assenza del laboratorio che ti confermase se l’intuizione era esatta o meno.
Quindi: ok farina di roveja e roveja nel condimento, ed ok anche per la dose, perchè si devono sentire, ma non sovrastare. Bene olio aromatizzato con l’aglio, benissimo il lardo di Arnad aggiunto alla fine (no alla sovrapposizione dei due grassi), e la cipolla stufa, giusto?, non soffrigge… quindi resta cremosa ed avvolgente. Perfetta ll’acciuga salata, che riequilibra il dolce della cipolla e il tocco finale col lardo, per dare brio.
La teoria c’è. e ora, invoco il laboratorio. Pure in terzine dantesche, se vuoi :-)
rande gara, grazia, veramente una grande gara
Caris
e solo tu potevi fare il commento in rima!! :DDDD
pasqualina
21 Gen 2013 10:01 pm
Oddio….altro che “infernali”…questi pici saranno paradisiaci!!!! Devo decidermi…. e farli!!!! Brava cara, splendido piatto! Immagino già i sapori!!
Caris
ehehe...secondo me tu ci metti qualche cosa che ha le origini di cetare...e fai diventare i pici roba campana doc!!!!Baciooo!
valentina
21 Gen 2013 10:01 pm
wow ogni volta mi apri un mondo con ogni tuo post!!
Caris
Ma grazie, hai detto una cosa che mi commuove!!
Mapi
22 Gen 2013 11:01 am
Fantastici… e non dico altro!!!
Caris
:DDD
loredana
22 Gen 2013 07:01 pm
Penso che nel girone dei golosi ci ritroveremo tutte noi adepte dell’MTC e ci divertiremo un mondo :D
Piatto incredibile!
Caris
ok..almeno sarò in buona compagnia :DDDDDDDD
Mile
23 Gen 2013 02:01 pm
meraviglia questi pici!!!! all’occhio però..sul sapore, non conoscendo la roveja…non posso esprimermi :D
un baciotto
Caris
motivo in più per cercare la roveja!!!!:DD baci!!!
PolaM
23 Gen 2013 08:01 pm
Confesso la mia ignoranza: cos’e’ la roveja?
Caris
La roveja è un legume..puoi considerarlo un pisello selvatico (leggi il link al presidio slow food). In umbria è comune..ma non nel resto di Italia..me lo ha fatto conoscere il mio alimentari, piccolo e di fiducia, che si ricerca queste cose :DDDDD
Gaia
24 Gen 2013 09:01 am
Via, mi toccherà rifare anche i lici. io sono quella che arriva sempre dopo l’MTC…
Caris
ma basta arrivarci! che importa anche se fosse l'unico giorno??? dai che ti verranno benissimo!!:)
patty
24 Gen 2013 03:01 pm
E due! Due ricette che ti hanno vista impegnata in maniera totale. Sono a bocca spalancata per l’ammirazione. Perchè conosco la roveja e perché come la cicerchia mi affascina immensamente. Tu hai spiegato l’origine di questa idea meravigliosamente, ma ancora mi domando come tu sia potuta essere così abile nel seguire un percorso così incredibilmente arduo e immaginifico. Grazie Caris, davvero.
Un abbraccione, Pat
Caris
ma grazie a te! senza i pici non avreiavuto modo di riflettere su nulla!!!!
Silvia
26 Gen 2013 06:01 pm
In questo caso, a me mettetemi direttamente all’inferno: come si può indugiare davanti ad un piatto di cotanti pici?
Caris
Tranquillissima perchè sarai in buona compagnia (io ci sarò :DDD)
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