L’eclair è sempre stato un mio punto debole, per più motivi: primo, perché a Parigi me ne sono innamorata, secondo, perché non riuscivo a riprodurlo. E’ vero che al massimo ci ho provato un paio di volte ma il risultato è sempre stato deludente. Recentemente, Pinella ha fatto questi eclair (post bellissimo) e, indovinate un po’, mi è presa la sacra passione di riprovare. Il fatto è che sapevo che la ricetta e il procedimento non mi sarebbero bastati, data l’imbranataggine cronica con questo dolce. Dovevo cercare di carpirne i segreti, diciamo così, perché non potevo fare a occhio. Fare a occhio riesce a chi lavora quotidianamente su questi prodotti e a chi a un mare di conoscenze. Non potendo contare né sull’una né sull’altra condizione, mi dovevo cercare le notizie basi. E così ho fatto.
Mi sono imbattuta in un tutorial molto bello di un ragazzo canadese, Ilan Kogan. Questo tutorial si base su vari esperimenti del blogger e su varie fonti importanti fra cui un video del pastry chef Sadaharu Aoki. Lui, famosissimo, non ha bisogno di presentazioni. Ho visto il video e me ne sono innamorata. Ho provato la ricetta e soprattutto il procedimento e i suggerimenti del tutorial. E finalmente mi è sembrato che la rotella dell’ingranaggio cominciasse a ruotare.
Allora, facciamo così: vi traduco parte del tutorial di Ilan Kogan (dico parte perché è stratosfericamente lungo), che trovo anche divertente da leggere e con immagini bellissime, vi metto i riferimenti al video di Aoki, in modo che possiate andare direttamente ai minuti che vi servono. Vi metto le mie considerazioni in un altro colore (quella colorata sono io, quella in grigio è Ilan Kogan). Aggiungo solo una cosa: Ilan Kogan si è fatto tradurre il video dal giapponese all’inglese. Io, per essere sicura, ho approfittato di un mio amico e compagno di Università che vive in Giappone e a cui ho fatto tradurre per essere sicura: grazie Marco!
Pronti? Via.
Dal blog Iron Whisk
“Secondo la Chamber English Dictionary, almeno nella sua versione pre anni settanta, un eclair è un “dolce, lungo nella forma ma corto nella durata” (non mi si chieda, poi, perché amo gli inglesi).
In un dizionario francese troverete che un eclair non è solo un dolce ma anche un lampo di luce.Gli storici del food non sono unanimemente d’accordo sul perché del nome eclair in Francia: qualcuno crede che il soprannome derivi dal fatto che venga mangiato in un lampo mentre altri concordano che sia dovuto al fatto che il dolce risplenda quando coperto di glassa, come un fulmine , appunto.
Dimenticandoci le origini del nome, gli eclair sanno essere deliziosi se fatti correttamente. Ma, normalmente, questo non accade.
I cinque peccati capitali degli eclair
Una rapida ricerca su Google rivela che la maggioranza delle ricette degli eclair, disponibili online, hanno difetti severi. Ho provato a identificarne i cinque fondamentali. Anche tu, pasticcere amatoriale, stai indugiando in uno di questi peccati se i tuoi eclari sono:
Se i vostri eclair hanno uno dei precedenti problemi (eccomi, su tutta la linea), non scoraggiatevi (meno male!). Molte persone sbagliano gli eclair.
Ma la domanda è: perché tutti noi, collettivamente, accettiamo eclair mediocri? Perché IO o accettato eclair mediocri? (ho molto riflettuto su queste due domande e trovo che abbia ragione)
Credo sia perché non ne conosciamo di meglio. Online e sul web possiamo trovare tantissimi pasticceri amatoriali produrre splendidi croissant, torte incredibili e macarons. Ma su gli eclair, quasi nulla. Forse perché non abbiamo idea di quello che serve.
Bene, gente, tutto ciò sta per cambiare.
In questo post molto lungo, vi mostrerò i risultati della mia sperimentazione sugli eclair. Voglio condividere i miei trucchi per evitare tutti e cinque i peccati capitali.
Fonte di ispirazione
Questo tutorial è la combinazione di ricerche fatte sui miei esperimenti (dove ho sempre tenuto tutto uguale tranne una cosa per determinare quale fosse l’effetto), la ricetta di Eddy Van Damme’s, L’episodio di Alton Good Eats e, soprattutto, il video (trovato online) del leggendario pasticcere giapponese Sadaharu Aoki (video da guardare e riguardare!)
Questo tutorial è, appunto, basato essenzialmente sulla ricetta di Aoki, che è conosciuto come uno dei migliori produttori di eclair a Parigi. Lui normalmente non pubblica le sue ricette ma ho trovato questo video in giapponese dove la condivideva. Dopo aver trovato qualcuno che me lo ha tradotto (e io ho fatto tradurre a persona di fiducia:) ), ho cominciato a sperimentare il perfetto eclair.
Cos’è la Pâte a choux?
Eclair, profiteroles, croquembouches, churros, crullers, gougeres, etc, discendono tutti da un tipo di impasto chiamato choux. Dato che questo tutorial riguarda come fare una buona pasta choux artigianale, fondamentale per un perfetto eclair, è importante sottolineare che questo procedimento non è importante solo per gli eclair. Suggerisco di usare le strategie e i procedimenti anche per gli altri prodotti.
La pâte a choux utilizza il potere del vapore per far gonfiare il prodotto mentre sta cuocendo. Lo choux non ha speciali agenti lievitanti ma è solo composto da acqua, latte, burro, farina, sale, zucchero e uova.
Raggiungere una scorza marroncina e croccante: acqua o latte?
La mia ricetta per gli eclair usa sia il latte che l’acqua, come molte altre. Potrete trovare molte ricette che usano solo uno dei due. A mio parere, eliminare una delle due non è una buona idea: l’acqua aiuta per la croccantezza e il latte aggiunge colore e le proteine in esso presente aiutano la forma.
La mia ricetta comincia al solito: mettere latte, acqua, burro, sale e zucchero sul fuoco a sobbollire. In questa fase è molto importante fare in modo che lo zucchero e il sale si dissolvano. Se non dovesse accadere, i cristalli di zucchero e sale saranno responsabili delle crepe in cottura.
Evitare le crepe: sale, un ingrediente chiave
Il sale ha una funzione fondamentale nella pasta choux. Volendo dirla semplicemente, evita le crepe. In maniera più generale, più sale aggiungi all’impasto meno crepe superficiali avrai.
Forza della farina: quale farina usare?
Usare il giusto tipo di farina , negli eclair, è una necessità se vogliamo evitare il peccato capitale numero 2, l’eclair piatto. L’eclair piatto non solo è triste a guardarsi, ma è triste a riempirsi. Ho visto ricette di eclair usare le farine con i più diversi indici proteici: cake flour, all-urpose flour, bread flour.
Più alto è il contenuto delle proteine, più l’eclair sarà in grado di sviluppare una bella forma e la crosta sarà più croccante.
Se non mi credete, guardate la figura di sotto: a sinistra un eclair fatto con ap flour, a destra con una bread flour. (Ho chiesto alla mia amica Rossana: in America non usano comunemente il W come da noi, qui potrete trovare tante spiegazioni. Sta di fatto che la bread flour è una farina che ha circa il 13,5 di proteine/ Aggiornamento: usare una farina con 11 di proteine è l’ideale!)
Ma questo non vuol dire che non si possano trovare ottime ricette con la ap flour ma, nella mia esperienza, con la bread flour ho commesso meno errori capitali.
Aggiungere e cuocere la farina: dettagli importanti dettagli. (minuto 2 del video)
A questo punto, l’impasto necessita di essere mescolato, ancora fuori dal fuoco, finché la farina non sia più visibile.
Fare questa operazione lontano dal fuoco evita che si creino grumi di farina (e naturalmente avremo setacciato la farina prima di aggiungerla). Quando ho provato a mescolare la farina sul fuoco, ho avuto molti più grumi che nell’altro caso. I grumi formano delle spaccature durante la cottura.
Quando la farina è incorporata, il tegame deve essere rimesso sul fuoco per circa due minuti. (da minuto 2 e 36 vi prego di guardare come Aiko mescola l’impasto: non usa più un movimento rotatorio ma va avanti e indietro: è fondamentale. Al minuti 2.56 fa proprio vedere come usare la spatola) scaldare la pasta choux dopo aver mescolato la farina è essenziale: In questo modo, l’acqua non intrappolata nel reticolo degli amidi evapora. Se non si esegue questo passaggio, l’eclair non si svilupperà propriamente perché invece dell’espansione del vapore in un modo omogeneo, avverrà random portando a molte crepature.
Come sapere quando fermarsi? Si dovrebbe formare una patina sul fondo del tegame. E questa è una cosa buona. Aoki, in ogni caso, avverte che alcuni tegami non consentono questa formazione e quindi raccomanda di fermarsi quando si raggiungono i 75° C.
E’ importante non mescolare la patina del fondo con il proprio impasto, cosa che porterebbe alla formazione di grumi.
Aggiungere le uova (minuto 4.40)
Le uova sono probabilmente l’ingrediente più importante negli choux dopo l’acqua. Il tuorlo permette l’emulsione, mentre le proteine nell’ albume aiutano a non far collassare l’impasto. Tutte le proteine nell’impasto assolvono a questa funzione.
Aggiungere le uova è un processo semplice, ma bisogna che l’impasto non sia troppo caldo prima di mescolarle, altrimenti le uova coaguleranno e provocheranno crepe. E’ importante quindi che l’impasto si raffreddi fino a sotto i 60°C. A quel punto si possono mescolare le uova leggermente sbattute, il che aiuta a fare in modo che tuorli e albumi siano propriamente distribuiti.
Una volta che la prima metà è incorporata, la restante parte deve essere aggiunta lentamente, mentre il mixer gira. Si dovrà terminare con una pasta choux liscia, lucente e , auspicabilmente, priva di grumi.
Se passate il dito sotto l’acqua fredda e poi lo trascinate sull’impasto, (minuto 5.22) si dovrà creare un piccolo solco che non collassa. Questo test aiuta a capire se si è raggiunto il giusto livello di idratazione. (al minuto 5:50 fa anche la prova con la spatola: guardate che meraviglia).
Io so che alcuni pasticceri, tipo Busi mettono l’impasto in frigo a raffreddare. Io l’ho fatto ma l’ho reso troppo freddo. Se guardate il video, al minuto 6:o5 lui tira fuori l’impasto con la pellicola e misura 32°C: Aoki dice che la temperatura di dressaggio deve essere intorno a 30°. Se l’impasto scende troppo giù, può essere scaldato brevemente nel microonde (evviva! abbiamo la temperatura di dressaggio! So che alcuni pasticceri mettono l’impasto in frigo, quindi ora sappiamo come regolarci)
Dressare l’eclair: preparare la teglia
Per la teglia, io uso quella microforata con i tappetini microforati: la pasta choux si aggrappa meglio e può svilupparsi in cottura. E’ importante usare la stella francese a 16 punte e dressare a circa 45°C. Cercate di creare un eclair regolare c di circa 13 cm (secondo Aiko) on un minimo di impasto in più sugli estremi, ma veramente minimo (forma a dog-bone: a me non piace tantissimo, io li lascio solo accennati).
Dressare eclair è questione di pratica (minuto 7 del video). Guardate come lui, verso il minuto 7:41 termina la parte finale dell’eclair: devo ancora lavorarci.
Come fa Aiko, invece di usare un egg wash o il burro di cacao sciolto, io spolvero gli eclair di zucchero a velo (minuto 8:44)
In questo modo si otterrà una scorza più croccante e colorata (e , udite udite, molto più regolare. Sarà che lo zucchero a velo crea una barriera alla spinta eccessiva del vapore? Per me, questa è la svolta della cottura).
Cottura
Io ho usato quella di Pinella: i primi 15 minuti a 180°C e altri 35 a 160.
Alla fine della cottura o appena tolti dal forno io creo una piccola fessura alla fine di ogni eclair per far uscire il vapore. Altrimenti, quando si raffredderanno, il vapore interno condenserà e renderà l’eclair più molliccio (altro particolare fondamentale: io usato uno stuzzicadenti per fare dei forellini: stavolta li ho resi belli evidenti per poterveli far vedere)
Notate che al minuto 9.34 lui fa notare come l’eclair sia molto regolare in superficie mentre presenta delle striature sui bordi vicino alla base: credo che l’effetto dello zucchero a velo sia proprio questo, lo hanno fatto anche a me.
Ingredienti
Procedimento
L’ultimo post risale a più di due anni fa: che ci faccio qui?
Non lo so. Riapro il blog?
Non lo so. Avevo voglia di salutarvi?
Sì, quello lo so: volevo salutarvi.
Dunque, la mia assenza da questo blog si può spiegare con un master (alla mia età!), varie certificazioni (ancora in atto), un periodo di studio pesante, bla bla bla, la famiglia, il lavoro, i due banditi che crescono e che mi hanno assorbito che neanche l’acqua una spugna disidratata, e bla, bla bla.
Ogni tanto ci vuole, un bel pranzo in famiglia, magari per festeggiare, che so, il nuovo lavoro del marito :)
Lavoro bello e che ci avvicina ancora di più al mondo del vino, ma questa è un’altra storia. Solo che se già prima gli influssi del sommelier si sentivano, ora avremo tutte le ragioni per esserne inondati! E ne siamo felici.
Dunque, per questa Domenica ho deciso che era tempo di rimettere mani ai fornelli e di fare qualche cosa che non fosse il solito pasto veloce/insipido/indecente delle ultime settimane.
Sono in ritardo, lo so. Questo carnevale sta per finire , frappe ne ho fatte in abbondanza ( e spero anche voi) ma io volevo continuare a provare ricette dal libro di Biasetto “Senza dolce non è vita”.
Io dico sempre che il fritto è la risposta. Più o meno a qualsiasi domanda.
Qui c’è lo zampino di alcune amiche un po’ matte. Matte per la pasticceria ( e forse un po’ in generale e per questo mi piacciono :) ).
Insomma, ci piace molto quel genio luminoso di Amaury Guichon. La prima volta che vidi Amaury, anni fa, fu durante la trasmissione francese “qui sera le prochain grand patissier”: edizione mitologica, in cui uscirono fuori altri talenti del calibro di Yann Menguy, per dire.
Era già bravissimo allora ma di strada ne ha fatta tanta e oramai è il pasticcere che sperimenta l’uso degli attrezzi più disparati per riuscire a fare le sue decorazioni (trapano amore mio. E se vedrete i suoi video, capirete il perché).
Frappe (o chiacchiere, lattughe, crostoli, cenci, etc etc) dicevamo. Quelle di Biasetto che tanto mi hanno colpito, sono qui. Mi piace tanto, questo dolce. E , sapendo che esistono tante versioni di servirle, dipendenti dalla regione d’Italia ma anche dalle tradizioni di famiglia, ho pensato di chiedere ai miei amici su fb come le condissero. Ne è venuto fuori una girandola di sapori che ho pensato di condividere con voi, perché ogni frappa ha il suo carattere, la sua indole, il suo modo di essere.
Sarà che per Natale non sono riuscita a scrivere nulla, sarà che Carnevale quest’anno finisce presto, io oggi dovevo fare frappe e, soprattutto, dovevo condividerle con voi. Ieri sono andata al supermercato e in un attimo di sconforto ho comprato un vassoietto di frappe al banco del pane. Si dà il caso che in generale siano fra i dolci preferiti di mio figlio, il quale, dopo aver assaggiato quelle comprata, ha sentenziato: “non capisco perché tu le abbia comprate, dovevi farle tu.”
Passate bene le feste? Fatemi fare la domanda più scontata del mondo, tanto per rompere il ghiaccio, che qui non scrivo da un bel po’!
Non per volontà ma per una serie di avvenimenti:
Lidia ed Erica mi hanno invitata a partecipare ad un contest che riguarda, nientepopodimeno che, l’ora del tè. Non potevo non accettare.
Per me il tè è sempre stato indissolubilmente legato a Londra e all’Inghilterra. E quando quest’estate finalmente ci sono stata per la prima volta (eh sì, ci ho messo un po’ di tempo ma come tutte le cose sudate e desiderate, non mi toglierò più Londra dalla testa), non mi è parso vero di andare a far visita a Fortnum & Mason e regalarmi il loro afternoon tea nella Jubelee Tea salon. Ne ho parlato qui sul sito di Luciano Pignataro, qualora voleste il resoconto e qualche foto di quel bel pomeriggio.
Era il 2015, numero 14 di So Good, che Christophe Renou pubblicava la ricetta della sua Fraiser Rivisitè.
Lui, un ragazzo dall’aria per bene, tranquilla , quasi timida, aveva creato questo dolce per il Meilleurs Ouvriers de France. La sfida era immaginare un dolce senza anelli e stampi e lui ha pensato ad una spirale. Inutile dire che fu un enorme successo. Questo dolce è praticamente diventato il pallino di molti pasticceri di tutta Europa. Ne ho anche visti degli esemplari riprodotto in Italia ma rendiamo merito a Renou perché è suo. Punto.