Non avevo calcolato di scrivere un altro post.
Però.
Non mi piace scrivere un post più velocemente di quanto non faccia di solito.
Però.
Sta per finire Carnevale e c’è solo un paio di giorni per friggere.
Però.
Fateli.
Vi ho detto che sono arrivata in finale a Le strade della mozzarella con la mia Brioche? Che sono andata a Napoli, ho visitato il Mulino Caputo, visto farine, ascoltato le spiegazioni insieme agli altri finalisti? Che sono arrivata al secondo posto pari merito con Cristiana e che sono ritornata a casa con una madia in legno del Mulino Caputo, oltre le mozzarelle di bufale e le sfogliatelle ricce..ma va be, è un dettaglio? Che alla metro di Roma i militari mi hanno fermata perché volevano sapere cosa trasportassi..e non vi dico la scena.
Il grande capo, il motore dell’mt challenge, la donna che mi fa tanto ridere e sorridere, quella che lascia commenti da appendere insieme al diploma di laurea, quella che chiameresti per scriverti il discorso della vittoria di un Oscar e, per di più, una cara amica, compie gli anni. Anche questo, tanto per non sbagliare, in modo speciale: ne dimostra sempre uno in meno rispetto all’anno precedente.
E allora cara Alessandra, anche se un po’ in ritardo, tanti auguri ovunque (leggasi dall’altro capo del mondo) tu sia!
Il nostro regalo comune è un calendario con le sue ricette storiche!
Qui di seguito vedete solo l’anteprima, mentre a questo link potrete scaricarlo tutto.
In pratica facciamo un regalo a tutti noi:)
Mancano davvero pochissimi giorni, avevo un altro formato di pasta straordinario, una mozzarella di bufala dop appena arrivata a casa e la notizia di essere entrata fra i tre finalisti dell’altro contest: potevo non fare un altro piatto per il concorso de Le strade della Mozzarella sulla pasta?
Dai, no!
Che un fratello dia dei nomignoli, nulla di strano.
Che il fratello, minore, prenda in giro la sorella, maggiore, ci sta.
Che il fratello e il cugino comune siano irriverenti, eh, con dieci anni di differenza.. son gli inconvenienti del mestiere.
Però il mio caso è leggermente diverso. Leggermente.
Torta fatta durante le feste, per la precisione per la sera del trentuno. Avevo, come eredità della cena della Vigilia di Natale, due dita della mano destra fuori uso: ferita indecente, portata dietro per dieci giorni e vorrei poter dire “incidente del mestiere” ma quello che mi è successo è talmente assurdo che non posso neanche consolarmi così.
Come dicevo nel post delle lagane e ceci, la proposta di questo mese della Vitto mi ha entusiasmato: minestroni e zuppe. Nel primo post ho presentato un piatto legato allì’origine della mai famiglia, quello che mi faceva spesso mio nonna e che lasciava un’aria con una densità specifica diversa, ovvero con una densità dilagane e ceci. Chiunque abbia avuto una nonna o una mamma che cucinava zuppe e minestre, sa di cosa parlo.
Qui ho fatto una zuppa che ricorda, ancora una volta, il Cilento, anche se modificato qualcosa della ricetta originaria.
Esiste una versione di minestrone con fagioli e castagne, a cui ho pensato di aggiungere una verdura, come il cavolo nero e un po’ di salsiccia , per renderlo un piatto unico.
La fetta di pane semplice o bruscata è sempre un piacevole accompagnamento. Non ho voluto mettere pasta perché con le castagne mi sembrava completo così.
Per dovere di cronaca, (perché se c’è un dovere, è di cronaca) ho fatto la prova del nove (perché se c’è una prova, è del nove). Era una bella porzione di zuppa, per una che si apprestava ad una bella dieta depurativa post Natale, allora ho chiamato il fratello minore, il ventisettenne di casa, quello che ogni tanto fa le sue incursioni su questo blog, l’ho messa in un contenitore e gli ho detto di mangiarla calda con un crostino. Bene, il ragazzo è venuto a casa, l’ha presa e se nìè andata.
Dopo un po’ mi ha mandata un messaggio su wa, in cui mi diceva che era molto buona (no, lui ha usato ben altre espressioni, che non mi azzardo a presentare alle vostre delicate orecchie) e non solo: subito dopo mi è stato mandato un messaggio audio dei suoi amici, tutti entusiasti della zuppa.
Un gruppo di ventisettenni, con tanto di cappelli new era (ho anche imparato questa cosa), con qualche tatuaggio sparso, magari davanti alla play station, che si mangia la zuppa di fagioli e castagne e mi dice pure che è buona.
Miracoli dell’mtc.
Con questa ricetta partecipo all’mtc di Gennaio!
Ingredienti
Procedimento
Non potete immaginare la mia felicità quando ho saputo che la Vitto aveva nuovamente vinto l’mtc.
Punto primo: è di una simpatia travolgente. Incarna tutto ciò che un genovese deve essere, belin nel parlare compreso.
Punto secondo: è l’autrice di una delle gare dell’mtc che ho amato di più. Ovvero quella sua Pasqualina, torta che rimane fra le mie preferite
Punto terzo: sapevo che avrebbe tirato fuori una gara di sostanza.
Sono arrivata a Parigi, ormai un mese fa, che avevo in mente Il Piano. Il tempo era decisamente poco: praticamente un giorno e mezzo ma non potevo lasciarmi scappare l’occasione. La ragione ufficiale del viaggio era continuare la visita delle Chiese non viste, dei quartieri non visitati, delle zone da ripercorrere. La ragione ufficiosa era quella di rivedere i pasticceri già visti e andare a trovare quelli imprescindibili che però l’altra volta mi erano sfuggiti.
Insomma, più che commesso viaggiatore, io ho fatto il commosso viaggiatore.
E dirò di più: ad un certo punto scuotevo la testa e l’unica cosa che dicevo era che li odiavo tutti. Per capire il perché, guardate un po’ qui.
Primo giorno, prima visita: non si può non andare da Jaques Genin: la classe, quella che non ammette repliche né concessioni alle mode del momento. Una tecnica sublime unita a tanta passione. Cioccolatini incantevoli e dolci che fanno dimenticare in un attimo le eventuali stanchezze del viaggio: una tarte citron basilic, lontana mille miglia da quella che ho provato a rifare io (con una frolla così sottile e croccante come mai avevo visto e una crema che…be, lasciamo stare); un millefoglie davanti al quale sono ammutolita e che Conticini mi perdoni, in quel momento ho pensato che fosse la migliore in assoluta. Vogliamo parlare della sua boutique, o meglio gioielleria, o meglio ancora luogo delle meraviglie? Dovete andare. Per forza.
Uscita da Genin con una busta, con un contenuto prezioso che neanche fosse stato Chanel, la tappa successiva era una vecchia conoscenza, ovvero Christophe Adam (sospiro con occhi a cuore incorporato..) e L’eclair de genie. Ora, qui è cominciata a succedere una cosa. La distanza fra la prima e la seconda tappa non era certa spropositata. Eppure ho iniziato ad incontrare una serie di pasticcerie, a me sconosciute, che implicavano l’attaccare le mani alle vetrine e stare lì con la bocca socchiusa a guardare quelle cose che chiamavano semplicemente dolci.
Mi sono imposta di staccarmi da quelle vetrine solo perché DOVEVO arrivare al paradiso degli Eclair, ma è stata dura.
Perduta la speranza di incontrare il bel Christophe, mi sono dovuta consolare con la produzione di eclair più scintillante della capitale francese. L’eclair praline noisette doveva essere riassaggiato ma poi c’era quello al marron glacé, che con la sua lucentezza lunare invitava troppo. Mi biasimate?
A questo punto ero in uno strano stato d’animo. Mangiavo l’eclair al marron glacé e contemporaneamente odiavo il fatto di non averli più vicini, di non poter girovagare fra quelle vie, passare una domenica da Genin e una da Conticini, perché questi pasticceri avevano avuto l’impudenza di abitare a Parigi. Ingiusto.
Passato l’attimo di scoramento mi sono avviata alla pasticceria del caro amico di Adam, ovvero Michalak, che sempre nel quartiere di Marais, a due passi da L’ eclair de genie ha aperto la sua nuova boutique: la rissa per vedere le vetrine interne era quasi imbarazzante. E non scordiamo che Michalak e Adam sono due personaggi televisivi notissimi: non storcete la bocca perché sono molto bravi. Basta guardare Mastro Pasticcere Francia per capire che tipo di trasmissione hanno sfoderato: si imparano tante cose, è avvincente e loro sono cortesi, severi ma giusti. Spero sempre che ricominci, è l’unica cosa che ho guardato in tv l’anno scorso.
Ritorniamo da Michalak. Dolci straordinari facevano una bellissima mostra di sé ma, ormai sopraffatta, mi sono solo lasciata tentare da uno dei suoi Kosmik (ma quanto mi sono pentita di non aver preso il resto..). Quale ho preso, lo indovinate?
La quarta tappa era stabilita; era necessario lasciare il Marais, vedere qualche passage couvert, magari mangiare lì e camminare per tutto il quartiere latino prima di arrivare dove desideravo. Il problema, e molto serio, è che come ti muovi a Parigi incontri pasticcerie di livello altissimo. E li odio per questo.
Non lontano da Notre Dame chi c’è? Patrick Roger.
Come si fa a non amare, scusate, odiare profondamente questo cioccolatiere? Guardate, e con la massima attenzione, vi prego, i suoi alberelli. Uno che cammina per la strada non può incontrare alberelli così, rischia un malore. Troppa bellezza tutta insieme. E vogliamo parlare dei suoi dolci al cioccolato? Meglio di no.
Mi sono staccata a forza da quella boutique, senza comprare nulla (e ancora mi chiedo come mai..) perché la quarta tappa mi aspettava ma vari imprevisti erano alla porta.
Neanche giro l’angolo che chi mi trovo davanti?
Pierre Marcolini. E allora ditelo. E allora capite che ho cominciato a dire che li odiavo tutti e scuotevo la testa. La gente mi guardava, lo confesso. E provavo stupore, tanto, allo stesso tempo, mi chiedevo perché solo un giorno?
Che poi, potevo non incontrare il negozio del terzo giudice di Mastro Pasticcere Francia? No, in effetti.
Ma ero determinata: dovevo arrivare alla quarta tappa (ormai quinta o sesta, chissà, e non mi sarei più fermata.
E così sarebbe andata se a dieci metri non avessi visto l’insegna di Arnaud Larher. Il mio “nooooooo, Arnaud Larher!” dovrebbero averlo sentito anche quelli sotto la Tour Eiffel, se non sbaglio. Per dimostrare forza di volontà, coerenza e carattere, sono entrata. E stavolta ho comprato una cosa da mangiare in serata (almeno rimandare di qualche ora, dopo i dolci precedenti).
Dopo vi faccio anche vedere cosa ho preso da Larher.
La tappa definitiva non era lontana, anzi. Ed ecco lì, da lontano si notava lo splendore della vetrina. E la fila fuori dei giapponesi.
Chi poteva aver fatto una cosa così? Vi do altri indizi.
Se anche non aveste riconosciuto il Carrément Chocolat o il Plaisir Sucrè come si fa a non riconoscere la perfezione fatta macaron? Non ne esistono di migliori, secondo la mia personalissima opinione. Lui, Pierre Hermé.
Non so neanche spiegarvelo bene, Hermé. E’ tutto buono senza pudore. Io ho comprato due cose, una per la sera e una per la mattina successiva (capite? ho scavallato il giorno, rendetevene conto. Poi dici che non li odi) e ho passato dei minuti a chiedermi come si potesse produrre tanta bontà.
Insomma, che ho mangiato la sera?
Eccoli lì, in tutto il loro splendore: Il Montecristo di Larher e il Plaisir Sucré di Hermé.
Lampone e cioccolato uno, cioccolato e nocciole l’altro.
Splendidi entrambi. Non ci sono parole per descriverli ora, come non riuscivo a dire nulla a Parigi. Roba dell’altro mondo, che mi ha fatto desiderare di non andarmene da lì, di tornare ancora e ancora. Perché è così, quando odio qualcuno io poi voglio starci.
Però posso dirvi una cosa: il Plaisir sucré assurge a migliore dolce al cioccolato mai mangiato.
Per la colazione del giorno dopo, il botto finale: il croissant ispahan di Hermé. Il migliore dei croissant possibili ( Leibniz, con il suo migliore dei mondi possibili, l’aveva scritta meno volte di me in questo post, questa frase).
Praticamente mi sono sentita una nullità, pensando ai miei di croissant ma lui è davvero troppo oltre, devo farmene una ragione: Hermé, non è umano.
Mi può essere mosso un grosso rimprovero: quello di non essere passata da Conticini, alla sua Patisserie des reves. Lo so, è grave. L’unica scusante è che c’ero già stata e che era davvero troppo lontana per quel poco tempo.E non dimentico che la dovrò visitare la nuova boutique che sta per aprire Yann Couvrer (farà una carriera lampante, questo ragazzo).
Ma il rimorso ce l’ho. Per tentare di sentirmi meno in colpa, vi lascio la ricetta del cioccolato caldo proprio di Conticini, l’unico che non ho visitato (capite bene che bisognerà ritornare a Parigi).
Ingredienti
Procedimento
Durante il periodo delle feste (ma anche durante tutti gli altri periodi dell’anno) mi viene abbastanza naturale regalare dolci: al fratello e alla sua combriccola, ad una cena di amici, al parente cui tengo, etc etc. Sembra strano ma sì, ho regalato tutto: io mi diverto a farli, i dolci, ancor più che mangiarli. O meglio, quelli degli altri li mangio con immenso piacere e a Parigi non mi son fatta mancare nulla ( non ve l’ho ancora raccontato, vero?)…ma quando spignatto io, la massima soddisfazione è regalarli.