Ero impegnata a cucinare, dato che avrei avuto ospiti ed ero anche abbastanza rilassata perchè in quel momento i due furfantelli non si stavano picchiando, non si facevano dispetti e non tentavano complicate mosse di kung fu ai danni l’uno dell’altro: stavano semplicemente giocando ognuno per i fatti propri. Ho approfittato cercando di prepare più cose possibili un pò in anticipo per la sera..e neanche mi sembrava vero che non mi chiamassero da circa 10 minuti. Infatti, regolare come un orologio La Pasionaria fa “mammaaaa, mi dai l’acqua??? però lasciamela sul tavolo e non guardare, la prendo io”. Ecco, sono stata ingenua. Io ero contenta che venisse a prendersi l’acqua senza fare storie…così non dovevo neanche allontanarmi troppo dalla cucina. Riempito il bicchiere, l’ho posato sul tavolo, mi sono accertata che lo prendesse e ho continuato a cucinare. Dovevo immaginarlo che non poteva essere così facile.
Dopo 10 minuti di altro dorato silenzio (che, giuro, non mi pareva vero) arriva lei con il suo sorrisetto e mi dice:
“mamma, ho innaffiato il giardino”
L’affermazione, fatta da una bimba di 3 anni, era straordinaria. Ancor più straordianria se consideriamo che noi non abbiamo un giardino. Dopo un mio silenzioso profondissimo mea culpa e un’alzata degli occhi al cielo, le ho chiesto:
“quale giardino?”
” Vieni, che ti faccio vedere”. Mi ha presa per mano e mi ha portato sul luogo del delitto. Il giardino altro non era che il pavimento davanti alla finestra. Poi siccome evidentemente trovava che anche il divano fosse arido, aveva innaffiato anche quello. Non accontendasi di un così piccolo spazio verde, aveva proseguito bagnando tutto il tappeto di fronte al divano. Il fratello, pregustando la molto probabile mega-rimproverata, mi dice (con una grossa punta di soddisfazione) “ha preso le bolle di sapone, ci metteva un pò di acqua e buttava, un pò di acqua e buttava, un pò di acqua e buttava..” Il concetto era chiaro e lo scopo di prendersi il bicchiere d’acqua senza farsi vedere anche. Quindi, oltre a un giardino ben irrigato, avevamo anche un pavimento, un divano e un tappeto pieni di sapone. L’ideale, quando si hanno ospiti.
Abbiamo, o meglio ho, ripulito tutto e poi mi sono ridedicata alla ricetta, che, credetemi, meritava. L’ho presa, dal sito di Luciano Pignataro: come scova ricette buone lui, nessuno!
RICETTA: IL MEZZO PACCHERO CON TOTANI, PATATE E COZZE di Angelo D’Amico
Ingredienti (per 4 persone)
Procedimento
Preparate una salsa di totani: prendete una casseruola, fate un soffritto d’aglio, peperoncino, prezzemolo e adagiatevi subito i totani prima che il tutto possa bruciare. Sfumate con un po’ di vino bianco, lasciate evaporare ed aggiungete i pomodorini tagliati in quattro. Aggiustate di sale q.b e ultimate la cottura. Aprite separatamente le cozze con olio e aglio, sgusciatele e tenetele da parte con la loro acqua. Preparate intanto le patate tagliate a cubetti da sbollentare leggermente in acqua e sale. Adoperate una padella alta ed ampia, spadellate le patate con aglio e timo, aggiungete la salsa di totani, le cozze e mantecate il tutto con i paccheri che avrete cotto al dente. Servite ben caldo guarnendo il piatto con foglioline di timo e qualche cozza.
Sono stata a trovare Angela. Il che vuol dire che non solo ho conosciuto una delle persone più solari e gentili di sempre ma vuol dire anche che ho visitato Matera. In realtà faceva troppo caldo (era il 17 AGOSTO) e con bimba dietro e ginocchio malandato non ho potuto visitarla come sarebbe stato doveroso ma sono andata via con la voglia di tornarci al più presto. Matera è incredibile: un’altra dimensione! E’ un’opera d’arte a cielo aperto, da togliere il fiato! E’ emozionante anche solo stare a guardarla..figuriamoci fare il tour dei Sassi (che purtroppo non ho fatto e che farò sicuramente in futuro). E poi il negozio di Angela è bellissimo!!! Davvero elegante e raffinato..e ricco di cose buone!
Tra l’altro ho anche visto le famose melanzane rosse di Angela (per qualche ricetta andate da lei) che sono veramente particolari: la gente le scambia per peperoni, pomodori..tutto tranne che melanzane!
Però il re della giornata è stato lui: il Pane di Matera! Angela mi ha mandata da un suo produttore di fiducia, Antico Forno a Legna di Perrone Lucia & c (vi consiglio caldamente di far loro una visitina), che ha un forno storico grandissimo (saranno 4-5 metri..basta guardare la pala in legno con un manico che sarà almeno 3 metri). Un paradiso gastronomico.
In quel forno ho visto moltissimi prodotti: i taralli dolci e salati, quelli alla Malvasia, le strazzate materane, la focaccia…ma indubbiamente il pane ha un fascino tutto particolare. Il sapore, la forma particolare che rimanda al paesaggio della Murgia materana, le caratteristiche organolettiche..tutto ricorda il ruolo che ha il pane nella vita di questa città. Fino alla fine degli anni ’50, ogni famiglia materana imprimeva sulla forma di pane da infornare il proprio marchio, con un timbro in legno, per poterlo riconoscere dopo la cottura.
Una volta tornati a casa, ci siamo fatti una scorpacciata di pane di Matera. Com’era?? Beh, posso solo dirvi che una certa persona l’ha apprezzato tantissimo e vi lascio un paio di foto che possono testimoniare il suo livello di gradimento :)
Questo post non è di interesse alcuno per la popolazione maschile della rete, alla quale quindi consiglio vivamente di non procedere nella lettura. Cosa diversa invece per la restante popolazione femminile, che dovrebbe trovare ispirazione, se così si può dire, dalle notizie che riporterò.
Vi avviso subito che sono in ferie. Quando si è in ferie, la donna media si butta su letture che nulla hanno a che vedere con i soliti mattoni invernali ( che in maniera tanto tanto intellettual-chic stazionano sui comodini e nelle borse che ci accompagnano in metro): le riviste da spiaggia, come le definisco io! Su una di queste riviste ho trovato un articolo che più adatto al periodo non si può, per carità..ma se posso dirlo, mi ha lasciata fra lo sconcertata e l’allibita! Vi confesso che io quelle cose non le sapevo e mi hanno convinta delle necessità di continuare a comprare queste riviste anche in pieno inverno, perchè su certi argomenti bisogna essere aggiornati. Vi riporto quello che dice l’articolo, con una premessa: siccome questo blog non è vietato a minori di anni 16 le descrizioni precise che riporta il giornale le ometto ma il consiglio è quello di cercare cosa significhino i vari termini. Lo so che non c’entra assolutamente nulla con la cucina in senso stretto ma non ce l’ho fatta a non rendervi partecipe di certe scoperte!
Il titolo dell’articolo è : BRASILIANA in tutta sicurezza.
Ora voi dovete dirmi a che avreste pensato. Mi era venuto in mente alla frequentazione di una ragazza carioca senza rischiare grosso in una città come Rio de jainero. Sbagliavo e di grosso e sono sicura che voi ci siete arrivate prima di me. Tralascio la prima parte dell’articolo per concentrarmi sul punto fondamentale, ovvero depilazione eseguita in igiene e salute.
Qui scatta la lista dei metodi papabili, con tanto di pro e contro. In questo senso qualsiasi donna dotata di un minimo di esperienza, certe cose più o meno le sa..ma qui il livello di approfondimento è ben altro. L’argomento scottante è la ceretta “adatta” per indossare i costumi fra i quali una donna deve scegliere, quindi prendete appunti:
Diciamo che la differenza è proprio concettuale e vi prego di fare uno sforzo di immaginazione. Se proprio non ce la fate, come la sottoscritta, a capire perchè preferire uno stile o l’altro, beh, non vi resta che documentarvi. In ogni modo, il massimo del massimo è essere fufuniste (vi giuro che è scritto così) ovvero fan della depilazione full brasilian (e qui, secondo me, è più semplice capire il linguaggio in codice rispetto agli termini, se non altro per la radicalità della scelta).
Io sono al mare e la visita dall’estetista è di rigore..ma vi confesso che in questo momento sono terrorizzata!
In compenso mi godo il mio bel viaggio…..e dove sono? Parigi, Londra, Amsterdam??? Qualche capitale esotica? No…per la 35-esima estate consecutiva me ne vengo a Sapri e siccome vi ho rotto l’anima con i racconti di Sapri, del Cilento, della Campania e via dicendo..qualche foto ve la lascio pure io! Forse non sono degne di nota come chi è così fortunato da farsi viaggi in terre lontane ma non mi lamento proprio! La ricetta è semplice e goduta nel giardino di mio nonno: la ricotta infornata al pistacchio (lo so..ormai di pistacchio avete fatto indigestione ma ho praticamente finito le scorte…aspetto con ansia che arrivino parenti siciliani a rifornirmi…più o meno la prossima settimana!)
RICETTA: RICOTTA INFORNATA AL PISTACCHIO
Ingredienti
Procedimento
Sbattere la ricotta di pecora con l’uovo e lo zucchero. Aggiungere la crema di pistacchio (o la buccia grattugiata di due limoni o altri aromi..), mescolare bene e versare tutto quanto in una teglia antiaderente. Coprire con un foglio di carta argentata e sistemare questa teglia in una seconda teglia più grande, versarci un fondo di acqua alda e infornare il tutto a 150°C fino a quando la crema non si sarà rappresa e dorata (da me ci ha messo un bel pò..tipo un’ora e mezzo). Lasciar raffreddare completamente prima di sformare (meglio preparare la ricotta il giorno prima e farle passare la notte in frigo).
Ecco, classico caso di pubblicità progresso! Mi contattano dalla Philips e mi chiedono se mi va di provare un nuovo elettrodomestico: Airfryer, una “friggitrice” senza olio! Mi dicono che sta riscuotendo tanto successo in Italia e in Europa, perchè frigge con l’80 % dei grassi in meno, è leggero , veloce, senza odori molesti per casa.
Che bellezza, penso subito! Primo perchè io adoro queste nuove “diavolerie” tecnologiche! C’ho il debole, che ci posso fare??? poi perchè se c’era la più piccola probabilità di potermi fare le patate fritte con l’80% dei grassi in meno, voi capite che la cosa non poteva lasciarmi indifferente (solo un piccolo tarlo nella testa…perchè fra tanti blogger e tante prodotti a me mandano uno che serve per la dieta? Uno con cui si cucina con pochi grassi? perchè PROPRIO a me quello con cui si può mangiare cose scondite con facilità???? hummmm……sto evitando con cura di rispondermi :) )
Poi quando mi è arrivato, beh…lì l’apoteosi: nero, lucido, di design! un piccolo ufo insomma e l’ho ribattezzato così! il mio piccolo ufo personale! C’era anche un sorprendente libretto delle istruzioni: ci cucinano non solo cose fritte ma carne arrostita, pesce, crocchette, brownies (sì..dolci, avete capito bene): e allora voleva dire che era una specie di piccolo forno! E non vedevo l’ora di provarlo per sottoporlo a un crash test! La prova verità, perchè a bello era bello ma doveva anche funzionare che qui non si fanno sconti a nessuno!
Quando mai però le cose per me vanno per linea retta??? Pensate che io mi sia messa lì a sbucciare prima e tagliare poi patate? Che le abbia “airfritte” e verificato il tempo necessario, il grado di croccantezza? Che abbia preso appunti meticolosi? Mi sarebbe molto piaciuto, sarebbe stato molto professionale! Invece quelli della Philips devono accontentarsi solo di me, e quando ci sono io nei paraggi, qualche evento sinistro, complicato, sfortunato o semplicemente incredibile è sempre in agguato (qualcuno dice che esagero..sarà)!
Nel post precedente vi ho raccontato del mio piacevole pomeriggio in mezzo ai fiori. Quello che ho omesso di raccontarvi è che il giorno prima mi è successo di tutto di più! Stavo preprando le mini cake, un pò perchè non mi piace mai presentarmi a mani vuote un pò perchè pensavo che sarebbe stato molto carino, dal punto di vista fotografico, avere i fiori e una tortina decorata vicina. Bene, nella mia dispensa faceva bella mostra un pò di pasta di zucchero avanzata da qualche giorno. L’interno delle mini cake era pronto e dovevo cominciare a decorare. Prendo la pdz e la metto nel microonde: era un pochino duretta e con qualche secondo sarebbe tornata come nuova. Poi però mi è capitato quello che con lo zucchero non dovrebbe succedere: mi sono distratta. Invece che 10 secondi ho messo 2 minuti e nello stesso tempo mi è squillato il telefono: mio padre voleva sapere come stavo. Parlo con lui del più e del meno quando sento il “driiin” del microonde, apro lo sportello e senza neanche guardare, agguanto con la mano destra la massa di pasta da zucchero. Vi assicuro che prima ho trattentuto il fiato e poi ho sudato freddo: la massa era consistente solo in superficie, dentro era zucchero fuso bollente che in quel momento si era appiccicato su tutto il palmo della mano. Non ho avuto neanche la forza di urlare. Ho messo di corsa la mano sotto l’acuqa fredda ma ormai il danno era fatto. Lo posso dire?? Che dolore e che scema che sono stata! Così imparo a non stare attenta! ecco, questo è il migliore avvertimento: se lavorate lo zucchero, concentrazione al massimo perchè potete farvi male!
Ho passato un pomeriggio e una serata…ehmm..interessanti! alternativi direi! Fino alle 19:15 sono stata con la mano incollata al condizionatore dell’aria fredda! Avevo la crema contro le ustioni ma non potevo resistere senza l’aria gelida sulla mano, neanche un attimo! Dopo 3 ore però, il braccio gridava pietà (perchè era stufo di stare verso l’alto) e quindi mi sono presa una bacinella con acqua e ghiaccio e ci ho tenuto la mano fino alle 23:00. Non la potevo spostare, non c’era nulla da fare altrimenti il dolore era veramente troppo. In tutto questo, le mie mini cake erano rimaste senza decorazione. Nella mia testa ci avevo quasi rinunciato. Sarebbe già stato un miracolo riuscire a guidare per arrivare all’appuntamento. La mattina dopo, con la mano un pò meno dolorante, ho deciso di provarci ugualmente e di provare a far tutto con sinistra. Come è finita l’avete visto (non il massimo, erano stortarelle poverine..ma almeno le ho fatte!) e sono anche riuscita ad andare all’appuntamento e fare foto. Quando però sono tornata a casa e dovevo prepararmi la cena, non avevo la minima voglia e possibilità di cucinare, non dico il fritto, ma neanche di accendere un fornello! Allora ho avuto l’illuminazione: provare l’ufetto nero mio! Complici un pò di patate lesse che mi aveva mandato mia nonna (che sempre benedetta sia) e della ricotta presente all’appello ho deciso di fare al volo delle crocchette di patate e di provare a farle “airfritte”. E’ stato il mio salvatore: in modo molto poco imparziale vi posso dire che grazie a lui ho cenato, non usato il fuoco e non sono dovuta stare a controllare nulla! Evviva! E’ stato una salvezza in un momento di emergenza pura! E mi sono fatta anche doppia porzione, considerando che le crocchette sono venute, appunto, croccantissime! Non ho usato un goccio di olio, neanche nell’impasto! Eppure sono venute buone e leggere! Ora che la mano sta meglio, lo proverò con tante altre cose (scusate ma questa cosa dei Brownies mi incuriosisce da morire)…. ma io dichiaro la mia gratudine all’ufo di casa!!!!
RICETTA: CROCCHETTE DI PATATE CON RIPIENO DI RICOTTA E CREMA DI PISTACCHIO
Ingredienti (io ho fatto un pò ad occhio, cerco di essere il più precisa possibile)
Procedimento
Schiacciare le patet lesse, aggiungere il parmigiano, il sale e mescolare molto bene. A parte mescolare la ricotta con la crema, un pizzico di sale e un cucchiaio di pecorino. Formare le crocchette di patate: prendere l’imapsto, mettere dentro il ripieno di rictta e richiudere il tutto a sfera. Passare nell’albume battuto e poi nel pangrattato. A questo punto avete due scelte: o friggete in maniera tradizionale o air friggete (in caso di mano ustionata o non… :)))
Usufruire del servizio postale, in una città come Roma, non è cosa da poco. File interminabili, litigate nonstanti i numeri d’ordine, malumori contro la lentezza del personale e delle persone davanti (d’altronde si sa che quello lento è sempre davanti a noi, è una delle leggi di Murphy più comuni!). Spesso accade che, per tentare di ovviare a tutto questo, vada alla posta del paesino vicino: abitando in estrema periferia, mi posso almeno permettere il lusso di scegliere fra fila in città e fila in paese! In generale, la posta al paese vicino ha un ordine di grandezza di caos nettamente inferiore a quella del mio quartiere e quindi, per spedizioni, raccomandate, bollettini e via dicendo sta diventando la filiale preferita. Siccome però c’è sempre l’eccezione che conferma la regola, quel giorno c’era una bella fila anche lì: dovevo spedire un pacco e avevo a carico La Pasionaria! Una combinazione tremenda, come avrei avuto modo di verificare in seguito! Il tempo passava e sinceramente non sapevo più cosa fare per trattenerla: fortunatamente, ha pensato lei a creare diversivi!
Ha infatti cominciato a parlare di un argomento che ultimamente sta molto a cuore sia a lei che al fratello più grande:
“Mamma, io ho il pisel…” “No!” ho risposto prontamente “sai bene che quella è la parte di Albertino!”
Sono molto fiera di affrontare, con i miei figli, l’educazione sessuale senza eccessivi tabù: cerco di applicare le moderne teorie, per evitare complessi e qualsivolglia turbe o imbarazzi su un fattore naturale e normale, etc. etc.. Da Freud in poi dovremmo pur aver imparato qualcosa (ed è per questo che durante la mia seconda gravidanza Albertino andava in giro a raccontare di “Oguli” e “spermazoi” vari…mai una cicogna e un cavolo hanno varcato le soglie di casa mia..o meglio, il cavolo solo per essere mangiato :) ) Il” piccolo” problema è che come al solito, ai figli tu gli dai un dito e loro si prendono il braccio e pure la gamba! Infatti a questo punto, La pasionaria ha cominciato a spiegare ad alta voce, di quale parti anatomiche fossere dotate lei e il fratello, con precisione quasi scientifica e nessun imbarazzo (tranne quello mio, crescente..). Al che, il pubblico era ormai conquistato. Una signora con aria indulgente ha esordito dicendo “Beata gioventù, sarebbe bello essere così ingenui” e un signore si è addirittura lanciato in una battuta “Eh beh, l’importante è avere le basi fondamentali”, stimolando la comune ilarità, tranne che la mia. Meno male che nel frattempo era giunto il mio turno: dovevo solo spedire il pacco e contavo sulla rapidità. Contavo male, dato che, avendo scaricato dal sito ufficiale delle poste il modulo di invio per posta celere, la gentile impiegata era ovviamente andata in tilt: non sapeva che fare e ha cominciato a rimproverarmi di non aver usato il vecchio modulo a penna. A quel punto era una questione di principio! Non intendevo spedire quel pacco se non col mio modulo e quindi la dipendente ha cominciato a telefonare a tutte le filiali in un intorno di 5 km per farsi spiegare al telefono come fare. Nel frattempo, La Pasionaria continuva a spiegare con dovizia di particolari le differenze anatomiche fra maschi e femmine, tanto che ormai i vari signori mi guardavano con sospetto!. A tutto questo si è aggiunta la sua improvvisa voglia di cantare l’Inno d’Italia (si sa che a casa mia i 150 anni dell’Unità hanno avuto grande rilievo): prima fa una piroetta e poi attacca:
“Frateelli, L’Italia, L’italia s’è dettta, dell’ellmo di cipio s’è INCINTAAA la tettta!”
Ora, io lo so che questo è il suo modo di cantare l’inno e che quelli sono errori non voluti. Certo è che sentire che si è INCINTA la Tetta dopo il discorso di prima, sembrava quantomeno sospetto, ancor più che la manigolda bimba, si è messa a ripetere in continuazione solo questa frase, pur sapendo a memoria tutta la canzone. Io ovviamente stavo litigando con la dipendente ma quando mi sono accorta degli sguardi, ormai di disapprovazione, delle altre persone, ho tagliato corto, ho spedito il pacco e mi sono beccata anche un ” e la prossima volta usi mezzi tradizionali…..”
Personalmente non credo molto nell’ingeniutà dei bimbi piccoli, men che meno in quella dei miei. Appena saliti in macchina, la portarice sana di “ingenuità” scoppia in una risatina e mi fa “hai fatto una figuraccia…”. E lo sapevo che dovevo parlare di cicogne e cavoli…ormai il danno era fatto, quindi mi sono semplicemente diretta, insieme al bagaglio di teoria moderne sul come non creare tabù ai bambini, verso il miglior Norcino della zona: come dire, almeno affoghiamo tutto nel cibo!
Quel norcino lì, una sorta di paese delle meraviglie per appassionati di salumi, maiali & co. vende anche una cosa buonissima: la crema di lardo e guanciale! La vende anche a differenti gusti: basilico, rosmarino, tartufo, olive e chi più ne ha più ne metta. Questa crema, ottima sulle bruschette e sulla pizza bianca, ho deciso di provarla su una semplicissima pasta che facciamo solitamente quando abbiamo fretta. L’ha resa cremosa e saporita! Non dietetica ma adattissima al bel pic nic sul balcone che abbiamo improvvisato al volo, rigorosamente tutto colorato e in plastica! (Questa azienda fa cose molto carine e mi sbizzarrirò un pò con i loro prodotti)
RICETTA: TAGLIATELLE ALL’ABRUZZESE CON CREMA DI LARDO E GUANCIALE AL BASILICO
Ingredienti:
Procedimento
In una padella con i bordi alti, mettere un pò di olio evo e lascia soffriggere la cipolla rossa tagliata sottile. Aggiungere la pancetta e far rosalare per bene (ma senza seccarla). Nel frattempo, cuocere la pasta nell’acqua bollente, scolarla e versarla nella teglia. Aggiungere una bella manciata di pecorino e un cucchiaio di crema di guanciale (se non l’avete potete fare anche senza..è solo un cremoso tocco in più). Aggiungere il basilico fresco (e a chi piace anche la salvia) e rigirare sul fuoco per un minuto o due, fino a far amalgamare tutti gli ingredienti. Servire ben caldo.
P.S.: perchè all’Abruzzese? non lo so, l’abbiamo sempre chiamata così!!!!
Ci sono delle ricette che leggi e ti colpiscono subito! Può essere per l’aspetto, per il sapore che immagini, per i colori che ha il piatto. Quando ho visto questa pasta praticamente ho deciso all’istante che l’avrei fatta (scavalcando tutti i piatti della mia to-do-list). Mi piaceva l’idea di un grande classico, come l’aglio e olio, rivisitato da una chef molto bravo (Raffaele Vitale) e reso accattivamente da quegli straccetti di mozzarella di bufala: non posso farci nulla, per la mozzarella di bufala si possono fare follie! Ricordo un mio collega napoletano a cui raccontai che una persona che conoscevo congelava abitualmente la mozzarella di bufala (confesso che con il fior di latte mi capita…ma con la bufala nooo): lui, da buon napoletano, si fece il segno della croce e mi rispose “Gesù mio, la mozzarella di bufala nel congelatore?? Neanche nel frigo va!” E giù un altro segno della croce come a chiedere perdono del “peccato culinario” commesso da qualcunaltro!
C’è stata una bella manifestazione a Paestum, Le strade della Mozzarella. Purtroppo me la sono persa, ma mi sono ripromessa di andarci il prossimo anno. Incontri così dovrebbero esserci più spesso…dato che poi vengono fuori, per esempio, primi come questo e anche molto di più. Qui si uniscono pochi ingredienti ma buoni, che danno vita ad un primo inaspettato, a maggior ragione perchè pensi di sapere tutto sulla pasta aglio e olio…evidentemente tutto non so! Inoltre mi è piaciuta molto la modalità di cottura della pasta: finire di cuocerla quasi “risottata” in padella, con il condimento del sugo e con l’acqua di cottura (io ho usata l’acqua scolata dai broccoletti). Secondo me dà un aroma molto buono.
Vi lascio la ricetta:
RICETTA: SPAGHETTI AGLIO E OLIO IN ACQUA DI BROCCOLI E STRACCETI DI MOZZARELLA
Ingredienti (per 4 persone..da noi per due!!!!)
Procedimento per acqua di broccoli:
Lessare i gambi e le foglie di broccoli, scolarli e pressarli in un setaccio fino ad eliminare tutta l’acqua di cottura., passarli quindi in un mixer unendo un filo d’olio extravergine d’oliva e un pizzico di sale, fino ad ottenere una salsa fluida e brillante. In un padellino soffriggere aglio, olio e peperoncino ed aggiungerlo alla salsa precedentemente ottenuta.
Per il sugo
Mettere sul fuoco una padella a bordo alto, con olio, aglio a fettine, peperoncino e gambi di prezzemolo, fino a far imbiondire l’aglio. Lessare la pasta in abbondante acqua salata, a cottura molto al dente, mantecarla nella padella con il sugo aggiungendo acqua di cottura (ho usato metà anche l’acqua scolata dai broccoletti) e continuare a cuocere mescolando continuamente con una pinza da cucina, fino ad ottenere l’emulsione dell’olio con l’amido della pasta .
Comporre il piatto:
Sistemare a specchio l’acqua di broccoli in un piatto fondo e con la pinza arrotolare a nido gli spaghetti, aggiungendo il sugo ottenuto e l’aglio croccante. Decorare con una foglia di prezzemolo e gli straccetti di mozzarella.
La prima e unica volta che sono andata in Sicilia ho avuto uno speciale battesimo di fuoco: ho assaggiato per la prima volta la sette veli. Sì, esperienze così non si dimenticano. La sette veli è uno dei dolci più famosi d’Italia e a ragione direi: me la sono sognata per i giorni avvenire. La fama di questo dolce era meritata in pieno.
La sera stessa in cui ho assaggiato la sette veli, mi parlarono anche di un dolce di cui non avevo memoria, anzi, ero proprio sicura di non averlo mai sentito: la cassatella di Agira. Non lo provammo perchè il fornitore di fiducia delle cassatelle, in quel momento era chiuso. D’altra parte ero così appagata dalla sette veli che guardavo con un pò di sufficienza a un dolcino antico, semplice nell’aspetto e negli ingredienti. Sì, ve bene, mi avevano detto che aveva nel ripieno la farina di ceci (ingrediente che non è che trovi così spesso nei dolci) ma per quella sera mi ritenevo ampiamente soddisfatta.
Poi però mi è rimasto il tarlo della curiosità. Come poteva essere che io, golosa oltre limite e amante dei dolci di qualsiasi tipo, non avessi mai sentito nominare questa cassatella? Poi con la farina di ceci…mi intigrava. Ma il lavoro era molto e non potevo di certo andare in giro a cercare la Cassatella perduta. Mi stavo quasi rassegnando a tornare indietro con la curiosità insoddisfatta, quando all’aeroporto trovo una pasticceria di dolci tipici, che in un angolino riprotava il cartellino: CASSATELLE DI AGIRA. Non mi è parso vero. Fu così che nello stesso viaggio ho fatto la personale conoscenza della sette veli e della cassatella. E sapete una cosa? Stranamente non sfigurava rispetto a un dolce da guinnes dei primati come la 7 veli, anzi… La pasta era molto buona, sottile, croccante e pastosa insieme, con un ripieno scuro in cui sentivo mandorle, cacao, e qualcosa che rendeva il ripieno sciogliovele. Confesso che mi sono pentita amaramente di averne presa solo una e, appena tornata a casa ho cominciato a cercare una ricetta: dovevo ripeterla.
Mi sono imbattuta in questa, che trovo davvero molto buona. Quell’estate feci kg e kg di cassatelle e i parenti vari le apprezzarono, compresi quelli siciliani, che non ne avevano mai sentito parlare. Se c’è una cosa che mi piace, è quella di cucinare un dolce (o un cibo) di cui si sta perdendo traccia. Ne faccio quasi una questione personale: amo la ricerca e la sperimentazione che c’è dietro un dolce di Felder, o di Montersino, Santin, etc…ma lasciar morire un dolce della tradizione, per giunta così buono, no, mi pare un insulto alla nostra cultura e mi sembra che si perda troppo della nostra identità! Va beh..dopo la tiritera sui dolci della tradizione siciliana, vi riporto la ricetta. Vi consiglio vivamente di provarli, perchè hanno quel particolare effetto che si può descrivere come la “sindrome della ciliegia”: assaggiate il primo e dite “hummm, non male”. Poi pensate che volete sentire meglio il sapore all’interno e prendete il secondo. Capito il sapore del ripieno, vi dite che è il caso di comprendere meglio anche l’impasto del guscio e così via. E’ quel classico dolcetto che parte con discrezione ma è subdolo, perchè fa in modo che voi non smettiate di mangiarlo finchè non ne è rimasto nessuno!
RICETTA: LE CASSATELLE DI AGIRA
Ingredienti
Per il ripieno:
Procedimento
Preparazione della pasta:
Mettere la farina nella spianatoia, aggiungere la sugna a pezzetti e lavorare strofinando il palmo delle mani con la farina e lo strutto fino a completo assorbimento, il lavoro e lungo ma non arrendersi (io ho usato la planetaria).
Fare una conca al centro ed aggiungere le uova,lo zucchero, un pizzico di sale, e incominciare con una forchetta, quindi poco alla volta l’ acqua tiepida, impastare per una buona mezz’ora fino a quando la pasta risulterà morbida ed elastica.
Per il ripieno:
Tostare le mandorle appena nel forno ” mi raccomando appena” quindi tritarle insieme alla buccia di limone,tritare per 2 volte , “utilizzare per tritare non il frullatore ma qualcosa tipo tritacarne. Fatto ciò mettere il composto in una capace pentola aggiungere l’acqua, lo zucchero, 2 cucchiai colmi di cannella, il cacao,e man mano setacciando la la farina, mescolare per bene con una frusta quindi accendere il fuoco “leggero mi raccomando ” e dolcemente quando raggiungerà il bollore si sarà addensato,spegnere versare in una capace ciotola e fare riposare tutta la notte sia l’impasto che il ripieno.
Il giorno seguente, riprendere la pasta che avremo riposto al fresco coperta, e lavoriamo un po’in modo da poterla stendere.
Stendere la pasta formando dei rettangoli non troppo sottili adagiare un bel cucchiaio di ripieno, richiudere premendo bene lungo i bordi e ritagliare con l’apposito strumento come dei grandi ravioli a forma di mezze lune.
Infornare a 180 gradi circa per 1 quarto d’ora facendo attenzione a che non prendano colore, devono rimanere bianche in superficie.
Prendere il resto della cannella miscelarlo allo zucchero a velo e passarvi ogni cassatella sistemando nei vassoi.
P.S.: se volete vedere un’interpretazione alternativa delle cassatelle di Agira, nuovo articolo sulla mia rubrica!
Quando Lydia mi ha raccontato di Wine and the City la mia reazione è stata calma e contenuta e, soprattutto, espressa con stile che neanche l’Accademia della Crusca: “Wowwwww!! Sììììì!! Che bello!!!! E vaiiiiiii!! Partecipo volentieri!”
Il fatto è che, se non si fosse notato, in questo periodo ho una leggerissima passione per il mondo del vino (pur non bevendo) e tutto ciò che lo riguarda, quindi ho trovato che questa iniziativa che si svolgerà a Napoli dal 18 al 21 Maggio sia veramente “adatta a questo periodo”, interessante e divertente. Perchè porta il buon vino fra la gente comune. Perchè unisce il mondo del vino a quello dell’artigianato e del design. Perchè rilancia una città che negli ultimi tempi viene citata troppo spesso per motivi non belli.
Insieme a Lydia e ad un altro gruppetto di blogger (e che blogger!) faremo una staffetta, durante questa settimana, in cui proporremo dei piatti che si ispirano a Napoli e alla Campania e che avranno dei vini abbinati dai sommelier dell’AIS di Napoli.
Questo il calendario della staffetta:
Lunedì 16 maggio
http://www.tzatzikiacolazione.blogspot.com/
http://unfiloderbacipollina.blogspot.com/
http://www.cookingplanner.it/
Martedì 17
http://lost-in-kitchen.blogspot.com/
http://gambettonellazuppa.blogspot.com/
http://artetecaskitchen.wordpress.com/
Mercoledì 18
http://lacucinadicalycanthus.net/
http://in-fu-sio-ne.blogspot.com/
http://symposionfoodies.blogspot.com/
Giovedì 19
http://solongandthanksforallthefood.com/
http://losciefscientifico.blogspot.com/
Venerdì 20
http://www.undejeunerdesoleil.com/
http://cookingbreakdown.blogspot.com/
(con un programma così non posso che consigliare di seguirlo giorno per giorno!)
Per questa manifestazione mi è venuto subito in mente un piatto che avevo mangiato in un ristorante del Cilento (la Cantinella sul mare). Purtroppo non ho la ricetta originale ma ho provato a reinterpretarlo secondo il mio gusto. In Campania sono famosissimi sia gli spaghetti alle vongole veraci che le zucchine a scapece e questa ricetta vuole provare ad unirli in un unico piatto:
RICETTA: SPAGHETTI ALLE VONGOLE VERACI SU CREMA DI SCAPECE
Ingredienti
Procedimento
Almeno un paio di ore prima di cuocere la pasta mettere le vongole nell’acqua fredda. Passato questo tempo, metterle a scolarle e nel frattempo preparare le zucchine a scapace. Tagliare le zucchine a rondelle e friggerle. Io non ho prolungato troppo la frittura perchè volevo conservare un bel colore verde. Una volta fritte, condirle con mentuccia, sale e un cucchiaio di aceto bianco (ne ho usato solo uno perchè volevo che desse il profumo ma che non prevalesse sugli spaghetti). In una padella, mettere un filo di olio e due spicchi d’aglio, inserire le vongole e farle aprire. Nel farttempo, far bollire l’acqua e cuocere gli spaghetti. Frullare finemente le zucchine fino ad ottenere una crema molto morbida. Adagiarla a specchio sul piatto di portata. Scolare la pasta e condirlo con le vongole, prendere una forchettata e appoggiarla sulla salsa a scapece. Decorare con qualche cubetto di zucchina crudo.
Il vino scelto è lo Strione Campania Bianco Igt 2007 Cantine Astroni
Abbinamento a cura di Tommaso Luongo, Delegato Ais Napoli
Certi dolci non vanno dimenticati, lasciati lì in un angolo o peggio modificati secondo le ultime tendenze del momento. Anzi, vanno protetti, riscoperti e amati proprio per le loro origini. Come per le Pastuccelle. Sono dei dolci originari di Acquavella (SA), e in generale del Cilento, che appartenevano alla parte ricca della popolazione e che erano tradizionali a Natale. I poveri sostituivano il ripieno con la farina di ceci. Si tratta di pastine con una pasta sottile e una forma che ricorda quella del sole.
Il ripieno è una farcia ottenuta con mandorle, limone e anice, che rende il dolce molto “scioglievole” al palato e il connubio fra anice e limone l’ho sempre trovato ottimo! Oggi, purtroppo, è difficilissimo trovare questo dolce e, se si trova, il ripieno e sostituito da varie creme al cioccolato famose. Ma non si può definire certo una Pastuccella. Questa ricetta mi è stata tramandata da mia zia (una “maniaca” nel ricercare ingredienti e preparazioni antiche senza apportare modifiche moderne che possano snaturare il dolce) e mi fa piacere condividerlo, con la speranza che possa ritornare in auge come una volta. Mando le pastuccelle ad Ornella, per il solito appuntamento mensile
RICETTA: LE PASTUCCELLE
Ingredienti
Per la pasta (attenzioni alle dosi: io, riportando tutto a un solo uovo e quindi dividendo per 5, ne ho ricavato un bel vassoio):
5 uova (da 66/68 gr)
250 gr di burro
1 bicchiere di vino bianco secco
1,150 gr di farina
Per il ripieno:
1 kg di mandorle pelate (non tostate!)
1 kg di zucchero
600 gr di acqua
scorza di un limone grattata
3 bicchierini di anice
Miele di acacia (o comunque un miele delicato)
cannella
rametto di rosmarino
scorzette di arance (a chi piace)
Procedimento
Impastare le uova, la farina, il vino bianco, il burro sciolto e raffreddato fino ad ottenere un composto liscio ed elastico, coprire e far riposare.
Nel frattempo, tritare le mandorle più finemente possibile. Metterle in una pentola, unire lo zucchero e l’acqua e far cuocere per 10-15 minuti (o comunque fino ad ottenere un composto sostenuto). Aggiungere il limone grattato e l’anice. Far freddare bene.
Formare le pastuccelle:
Utilizzando l’imperia, ottenere una sfoglia sottilissima (io sono arrivata alla penultima) e con un coppapasta tondo (diametro 10 cm) fare dei cerchi. SU ogni cerchio mettere un cucchiaino di composto e ripiegare a mezzaluna, facendo uscire bene l’aria. Con la rotella liscia, fare sul bordo un numero pari di taglietti e con l’indice arrotolare verso il centro un settore sì e uno no (vedere foto..è più facile a dirsi che a farsi). Alla fine si ottengono dei piccoli soli!
Friggere per pochi secondi ogni pastuccella. In un pentolino far sciogliere il miele. Distribuirlo sulle pastuccelle con un rametto di rosmarino (è buonissimo il profumo del rosmarino sul miele) e cospargere il tutto di cannella.
Questa cosa di dover stare perennemente a dieta, io proprio non la sopporto più. Ho appena aperto la mail di libero e mi ritrovo il solito messaggio di Spam di “PERDI peso SYSTEM”, che mi viene il nervoso solo a vederlo: come fanno a saperlo? Perchè me lo mandono tutti i santi giorni? Sembra che lo facciano apposta!
A dieta da una vita …(avete presente la canzone di Irene Grandi “vivo in vacanza da una vita”? ecco…per quanto mi riguarda potete sostiuire la parola vacanza con dieta)..per di più faccio parte di quelle categorie di donne che cominciano perennemente la dieta da Lunedì (ma perchè..cominciarla da martedì fa male? Il mercoledì è un reato? Il giovedì non lo prevede la propria religione? etc. etc), che si mortificano la settimana con yogurt, fettine ai ferri e insalate con un cucchiaino di olio per poi andare da mammà/suocera la domenica e non lasciare nel piatto neanche l’ultima briciola del dolcetto conclusivo, dato che la Domenica si ha il “pasto libero” (anche se dubito che il pasto libero del dietologo coincida col mio). Le donne più o meno si possono dividere in tre specie:
Io sono un perfetto esemplare della donna comunis, con il doppio problema di amare spassionatamente la cucina e anche ciò che ne esce ma che poi, sempre per cercare di mantenere un aspetto decente, passa la maggiorparte dei suoi giorni lavorativi a intristirsi col riso in bianco (quelli festivi..beh, vedi sopra). D’altra parte, siccome mi ripeto sempre un detto di una mia amica, “stare a dieta non vuol dire non poter leggere il menù” (anche se lei lo riferiva alla sua propensione a guardare con interesse tutti i bei ragazzi che le passavano accanto, nonostante fosse fidanzata) continuo a comprarmi libri di cucina. Stavolta tocca a ” Dolcezze, la grande cucina campana” di Rossella Guarracino, dove ho trovato tutti i bendettissimi dolci che vi possono venire in mente. Almeno uno dovevo provarlo no? io non lo assaggio neanche, vi giuro che lo regalo!
RICETTA: TARALLI NASPRATI
Ingredienti
Procedimento
Prima di cominciare a lavorare gli ingredienti, portate a bollore una capace casseruola piena di acqua e scaldate il forno a 180°. Setacciate la farina sulla spianatoia con il lievito e fate la fontana; al centro mettete lo zucchero, le uova, il liquore, lo strutto e un pochino di sale, quindi lavorate energeticamente tutti gli ingredienti fino a ottenere un impasto morbido e omogeneo (io l’ho fatto con la planateria e la foglia). Spianatelo ad un altezza di 1 cm e ritagliate tante ciambelline utilizzando uno stampo ad anello di circa 6 cm (io non l’avevo e ho usato du coppapasta rotondi di due misure diverse). Tuffate le ciambelline nell’acqua bollente, aspettate che tornino a galla e dopo un minuto scolatele. Asciugatele con un canovaccio e trasferitele su una teglia coperta di carta da forno. Infornatele e fatele dorare per 15 minuti (col mio forno ce ne sono voluti 20-25); estraetele dal forno e fatele raffreddare poi naspratele immegerndole nella glassa bianca. Fate asciugare per qualche ora. Per quanto riguarda la glassa, non c’era indicazione e mi ripropongo di chiedere all’autrice…io li ho fatti ieri sera e per fare presto ho semplicemente preso lo zucchero a velo e messo un goccino-ino-ino di acqua..ma chiederò se lei usa anche il bianco d’uovo.