Ogni tanto ci vuole, un bel pranzo in famiglia, magari per festeggiare, che so, il nuovo lavoro del marito :)
Lavoro bello e che ci avvicina ancora di più al mondo del vino, ma questa è un’altra storia. Solo che se già prima gli influssi del sommelier si sentivano, ora avremo tutte le ragioni per esserne inondati! E ne siamo felici.
Dunque, per questa Domenica ho deciso che era tempo di rimettere mani ai fornelli e di fare qualche cosa che non fosse il solito pasto veloce/insipido/indecente delle ultime settimane.
Non avevo la minima intenzione di fare un post su questa glassa, pensando che in rete se ne trovassero già molte. Poi però, messa la foto su fb dei vari passi e della torta finale che ho fatto recentemente per mio cognato, molte persone me lo hanno chiesto e allora, perché no? Antonio Bachour è molto conosciuto ma mai abbastanza e forse proprio qui in Italia meno che nelle altre parti del mondo.
Ci sono dei momenti particolari, quando tutto sembra capitare per una ragione, ragione che magari ti prende alla sprovvista ma che sai di aver atteso tanto. E’ stato un po’ così, quando ho letto del contest indetto da Pinella, Dolci d’autore. E che autore.
Si trattava di rifare un dolce addirittura di Pierre Hermé, con la possibilità di vincere una giornata ad un suo corso presso la Scuola di cucina Hangar 78. Pierre Hermé, forse il mio preferito di sempre. Certi sogni sembrano troppo belli per essere veri eppure la possibilità di provarci, in questo caso, c’era.
Mi sono armata di coraggio e ho pensato a quale dolce riproporre. Potevamo reinterpretarlo quanto a presentazione ma dovevamo restare legati alle singole parti del dolce.
Pierre Hermé ha un enorme bagaglio di dolci splendidi. Eppure ho pensato subito di provare con il suo Mont-blanc Hommage, per la storia che c’è dietro.
Hermè era un giovane ( e brillante) pasticcere che lavorava da Lenotre quando ebbe un colpo di fulmine con un gelato, creato dal suo maestro, ai marroni e alla pere. E, ricercatore nel vero senso della parola, decise di provare a ricreare un dolce a partire da questo connubio.
Mi sono immedesimata in un ragazzo che si innamora di un abbinamento e che mette in moto tutta la sua creatività per ricreare un dolce unico e tutto suo, partendo però da un prodotto del maestro che tanto gli ha insegnato. Bellissimo.
Mi è sembrato di capire tanto bene questa volontà che quel dolce mi è diventato subito caro. E così ho preso la palla al balzo: quale migliore occasione di mettere alla prova la mia, di creatività, su un dolce di Hermé, se non per questo contest?
Grazie di cuore a Pinella, che è riuscita a smuovere cuore e cervelli di tanti amatoriali di pasticceria.
Per il mio mont-blanc ho usato alcuni stampi della Silikomart, perché ho voluto riproporlo in versione monoporzione, con un occhio all’autunno e uno ai vari stampi: Tourbillon per le meringhe, tappetino del Kit Ali di fata per la creme d’amande , stampo Foresta per la Pigna e spray oro.
La ricetta è presa Fou de Patisserie opus#1 Pierre Hermé.
Una nota: ricordiamo sempre che i fogli di gelatina usati abitualmente in Francia hanno un valore di Bloom pari a 200 mentre quelli che usiamo in Italia sono fra i 140-160 (Maurizio Santin docet), quindi è necessario fare una piccola conversione seguendo la regola: P1 √B1= P2√B2 dove P1 è il peso in grammi della gelatina 1, B1 sono i gradi Bloom della gelatina 1 e così per il 2.
Ingredienti
Procedimento
Una di quelle cose, questa tarte, che volevo fare da una vita. Amo alla follia i lamponi, trovavo la forma elegantissima e raffinata, mi piaceva l’idea della corona e potete aggiungere il complimento che vi fa più comodo.
Come farla o come non farla restava un po’ una incognita ma la volontà c’era. Se non fosse che hanno questa strana pretesa che per darmi uno stipendio io debba andare a lavoro, lavoro che quindi toglie tempo alla pasticceria. Certo il mondo è strano.
Comunque, vado a salutare una mia amica alla stazione e lei che mi porta? L’ultimo numero di Fou de Patisserie.
E che c’era in copertina? La tarte framboise di Cyril Lignac e Benoit Couvrand.
I pomeriggi delle vacanze estive. Ma anche i pomeriggi del sabato delle vacanze di Natale. Me li ricordo ancora, pietra miliare della mia giovinezza. Non so voi ma io li passavo, causa suggerimento insistente di mia madre, guardando le commedie sentimentali italiane degli anni ’50 e ’60 e ‘70 e alla fine ne sono stata totalmente presa. Tutti, me li guardavo: Gianni Morandi e Laura Efrikian (lui che canta “fatti mandare dalla mamma” e io che sogno qualcuno che davanti a scuola, dalle suore, faccia altrettanto con me); Caterina Caselli e Laura Efrikian, che vinceva la palma di sfigatissima dell’epoca, su ogni film e a ogni latitudine (e “Perdonoperdonoperdono” che sognavo di cantare in qualche remota manifestazione a qualche sconosciuto ragazzino); Rita Pavone e la sua zanzara (e io che invidiavo il collegio femminile pur andando dalla suore, e quindi non si capisce il perché della mia invidia).
Storia di un momento (quasi) idilliaco.
La classica scena che fa tanto casa felice: una mamma (io) che impasta biscotti davanti alla figlioletta (La Pasionaria) che la guarda attenta. E ditemi che ogni mamma appassionata di cucina non sogna nella sua testa questo sacro momento didattico, tutto fatto di trasmissione di sapere, di proseguimento del proprio lavoro, di senso di continuità, etc etc.
E’ passato il mio compleanno. Da ricordare? In un certo senso sì, anche se non nel senso che vorrei.
Avete presente quando avete delle aspettative, ci contate, ci sognate su e poi vengono tutte deluse? Ecco.
Io con i compleanni non vado d’accordo. In effetti l’anno scorso la festa era stata piuttosto piacevole ed evidentemente deve solo aver interrotto la serie.
Durante il periodo delle feste (ma anche durante tutti gli altri periodi dell’anno) mi viene abbastanza naturale regalare dolci: al fratello e alla sua combriccola, ad una cena di amici, al parente cui tengo, etc etc. Sembra strano ma sì, ho regalato tutto: io mi diverto a farli, i dolci, ancor più che mangiarli. O meglio, quelli degli altri li mangio con immenso piacere e a Parigi non mi son fatta mancare nulla ( non ve l’ho ancora raccontato, vero?)…ma quando spignatto io, la massima soddisfazione è regalarli.
I dolci delle feste sembrano interessare non solo me, ma tanti di voi. E molti mi hanno chiesto: quale sarà il prossimo, dopo il profiterole?
Eccolo qui, il Saint Honoré. All’italiana e di Iginio Massari. Intendiamoci, io amo quello francese, con la pasta sfoglia, le composizioni moderne, e tutto… ma questo, da quando l’ho visto nel video di Sweety (manifestazione che ancora rimpiango), ce l’avevo sul groppone. Dovevo farlo a tutti i costi. A noi italiani piace il Saint Honoré con il pan di spagna (qui potete trovare un po’ di informazioni sul pds) ed è uno dei dolci più venduti in pasticceria.
A dire la verità, quando ho controllato la ricetta e il numero di uova, nonostante non sia certo una che fa economia sugli ingredienti, ho deglutito (giusto un po’). Ma poi ho pensato all’hashtag #fattianchetucazziaredamassari (che Santin merita l’applauso): chi sono io per farmi cazziare mentre sono a casa e non eseguo pedissequamente una ricetta del Maestro? Meglio farmi cazziare se e quando un giorno farò un corso serio con lui. Almeno lì, la soddisfazione sarà totale.
Da qualche anno c’è la grande mania, mia compresa, di fare regali di Natale che siano non solo fatti in casa ma rigorosamente di stampo cibesco. Biscotti, in particolare. Se non ci sono barattolini o sacchettini di biscotti, non li vogliamo. E, bene inteso, la prossima ricetta riguarderà proprio quelli, perché ultimamente ho fatto dei biscottini irrinunciabili ma la ribellione quest’anno è stata forte: non regalini ma più dolci delle feste per tutti.