Me lo immagino George Clooney che bussa alla porta di casa col cestino di fragole in mano a reclamare una festicciola (con Martini annesso e, per non farci mancare nulla, anche un Nespresso) . Posso forse essere io quella che si fa trovare impreparata alle sue richieste? A dire il vero sarebbe quasi impossibile, considerando che sono una “strawberry addicted” .. meglio identificata come quella che, pur avendo avuto un’allergia alle fragole in tenera età, non ha mai potuto farne a meno. Un cestino di fragole da me si trova sempre, da Marzo a Maggio, almeno.
Puoi cucinare le cose più buone, genuine, salutari ma per tua madre cucinerai sempre cose inadatte ai suoi nipoti (che siano figli tuoi è, in ogni caso, secondario).
Per la mia poi, il mio stile di cucina non va mai bene. La telefonata serale ha un unico argomento finale, argomento che ha un nome del genere: “che hai fatto mangiare a quelle povere creature?”.
Pasta fredda…. Non ci vado matta, dico la verità. Sarà che spesso ti presentano qualcosa che se infili la forchetta e tiri su, si muove un blocco unico. Sarà che la pasta risulta collosa, nella migliora delle ipotesi e, come se non bastasse, scivolosa. E diciamolo, queste non sono premesse che mi rendono un piatto attraente. Poi normalmente il condimento è a base di pomodori, mozzarella e tonno, tutto rigorosamente gelato. Perché la pasta fredda è fredda sul serio. Gengive sensibili astenersi.
Ah, la vita del pescatore. Avendo un papà nato Sapri (l’ultimo paese della Campania) ed avendo la casa dei nonni a circa 200 mt dal mare…di pescatori ne ho visti un bel po’ e ne ho sempre frequentati parecchi. Vi dico solo che Sapri c’è addirittura un pane a loro dedicato
Sono stata ben contenta quindi, nell’affrontare la ricetta del mese dell’MTC, che fosse la Fideuà della Mai. Non perché conoscessi questo piatto (nonostante un mese intero passato in Spagna, in gioventù …) ma perché mi permetteva di legare tanti sentimenti: il legame che provo per la Spagna, la nostalgia per il paesello natio e, cosa non trascurabile, l’amore per il mare. Ben venga quindi un piatto inventato in una cambusa, con il frutto del lavoro quotidiano e ciò che si aveva a disposizione.
In questo weekend troverete sparsi nella rete dei post un po’ particolari, di ricordi, di commozione, di gioia, di tristezza ma anche di ammirazione per quello che faceva. Maffo non c’è più e questi post sono tutti dedicati a lei.
C’è chi la conosceva personalmente e chi, come nel mio caso, solo di “fama”. Ma lei è tutta lì, nelle parole del suo blog, nel modo di scrivere ironico e scanzonato, nel suo profilo
“Cucina di divertimento. Cucina di curiosità. Cucina di gola, pancia, cuore.”
Le Strade della Mozzarella … la manifestazione sta per arrivare! I “segni premonitori” già ve li avevo raccontati qui..ma ormai ci siamo, Maggio non è tanto distante!
Proprio per questo partecipo anche quest’anno al loro contest, indetto insieme a Pasta Leonessa. La sfida in questa edizione è un grande classico: connubio pasta mozzarella. Sembra ovvio ma mica è così scontato.
…e non dite che non ve l’ho detto. Il binomio panna-fragola è collaudatissimo, si sa. Mi piacciono le fragole..per il loro colore, la loro forma, la dolcezza mista all’acidulo, il fatto (assolutamente straordinario per una che odia sbucciare qualsiasi cosa) che non hanno la buccia. Perché hanno pochissime calorie, diciamolo. Certo, se uno ci aggiunge la panna fresca e lo zucchero le calorie salgono. Ma sono di memoria corta e questo particolare, quando si tratta di fragole e panna, tendo a scordarlo.
Dopo la magnifica panoramica sui timballi italiani presentata dalle mie abili Compagne di Blogger, vorrei proporvi un timballo che viene dalla lontana Persia, quale testimone di una cucina tanto ricca e raffinata, quanto ancora poco conosciuta ed una tradizione culinaria che ha le sue radici nell’antichita’ . Una cucina influenzata profondamente dal concetto del dualismo di Zarathustra: il contrasto tra caldo e freddo, aspro e dolce, morbido e croccante e persino tra colori scuri e chiari e’ sempre presente. E questo timballo, che racchiude in se, in un armonico insieme, i sapori, i colori ed i profumi dell’Oriente, ne e’ un esempio perfetto.
I monsù, la loro storia, le loro ricette sono una parte della gastronomia che mi affascina da sempre. Non posso scordare la scena dell’entrata del timballo di fronte agli ospiti di Don Fabrizio, dal libro “Il Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa
“L’oro brunito dell’involucro, la fraganza di zucchero e di cannella che ne emanava, non era che il preludio della sensazione di delizia che si sprigionava dall’interno quando il coltello squarciava la crosta: ne erompeva dapprima un fumo carico di aromi e si scorgevano poi i fegatini di pollo, le ovette dure, le sfilettature di prosciutto, di pollo e di tartufi nella massa untuosa, caldissima dei maccheroni corti, cui l’estratto di carne conferiva un prezioso color camoscio.”
Qualche tempo fa, mentre entravo alla scuola dell’infanzia per prendere La Pasionaria all’uscita, ho involontariamente ascoltato la seguente conversazione tra altre due mamme.
“Li ha presi anche il mio…non me lo dire! E domani abbiamo la festa di compleanno del cugino, piena di bimbi! Stasera la passerò male, già lo so”
“Senti, la mia li ha avuti la scorsa settimana, ci abbiamo messo un po’ ma poi sono andati via. Tu vai di shampoo e non dire nulla. I cartelli di avviso sono qui, che ne sanno? E poi non succede niente se fai lo sh..”