Era dall’anno scorso, a Le strade della mozzarella 2013, che volevo rifarla. Ho assaggiato questo primo proposto da Piergiorgio Parini e sono rimasta basita: per l’uso degli ingredienti, per il nitore del piatto, per la nettezza del sapore. E poi quei fiori di Sambuco. Bellissimi e particolari. Parini ha presentato un semplice raviolo ripieno di mozzarella di bufala, condito con burro fuso e fiori di sambuco.
E’ il caso di togliere le ragnatele da questo blog. Sto facendo fatica, ne è pieno. Ma vediamo che si può fare.
Posso con certezza dire che la vita senza connessione non ha senso, davvero. Ok, un pochino ce l’ha ma quando vedo un pc collegato in rete ormai mi commuovo: io da un mese non ce l’ho.
Il trasloco di casa Planner ha sforato tutta l’indecenza tipica dei normali traslochi. Per motivi contingenti e incontingenti, costrittivi e imbarazzanti, non si possono svuotare i pacchi e fare i lavori necessari (ancora per poco, spero).
Si cucina quello che è possibile e questo ne è un esempio: facile, saporito e primaverile.
A Roma le puntarelle sono un’istituzione. Onestamente non mi sembra che in altre parti d’Italia siano un piatto così “classico” (poi magari sbaglio)..però difficile trovare una famiglia romana che non abbia la sua ricetta per le puntar elle condite con olio, alici, aceto e aglio, con la variante dell’accompagnamento fatto dalle uova sode.
Be, in questa pasta ho voluto rifare il verso a quel contorno.
Chissà se prima o poi il mio trasloco avrà una fine. Mi faccio questa domanda con una intensità che manco a Elsinore hanno mai visto, e la risposta mi sa che è simile a quella di Amleto.
Ingredienti
Procedimento
Ne hanno parlato un po’ tutti. Articoli vari su blog, siti di enogastronomia, giornali, etc etc.
Unforketable è il nuovo progetto firmato Garofalo e Niko Romito (fresco fresco della terza stella Michelin): un corso di cucina on line, con cortometraggi che fanno invidia alle migliori produzioni cinematografiche, pulite, eleganti, ben spiegate, con belle mani e belle, bellissime pentole trasparenti, nuovo oggetto del desiderio degli appassionati di cucina.
Lo so, da un po’ di tempo se non son titoli lunghi non li vogliamo!
Eravamo rimasti alla versione più delicata delle mie raviole del plin.
Ma non di sola delicatezza vive l’uomo, che in alcuni casi ha bisogno di quel gusto piccante in più!
A casa mia la ‘nduja non manca mai. Sarà che siamo durante le ferie siamo sempre in zone calabre o calabro-confinanti, sta di fatto che la scorta annuale non manca mai.
“Mamma, i maschi puzzano”
Ha esordito così, poche sere fa, La Pasionaria. Non pensavo che sarebbe giunta a certe considerazioni così presto … ma che sia perspicace non l’ho mai messo in dubbio. Da mamma però non potevo cedere così facilmente e ho tentato una, se pur debole, difesa del genere maschile.
Pasta fredda…. Non ci vado matta, dico la verità. Sarà che spesso ti presentano qualcosa che se infili la forchetta e tiri su, si muove un blocco unico. Sarà che la pasta risulta collosa, nella migliora delle ipotesi e, come se non bastasse, scivolosa. E diciamolo, queste non sono premesse che mi rendono un piatto attraente. Poi normalmente il condimento è a base di pomodori, mozzarella e tonno, tutto rigorosamente gelato. Perché la pasta fredda è fredda sul serio. Gengive sensibili astenersi.
Ah, la vita del pescatore. Avendo un papà nato Sapri (l’ultimo paese della Campania) ed avendo la casa dei nonni a circa 200 mt dal mare…di pescatori ne ho visti un bel po’ e ne ho sempre frequentati parecchi. Vi dico solo che Sapri c’è addirittura un pane a loro dedicato
Sono stata ben contenta quindi, nell’affrontare la ricetta del mese dell’MTC, che fosse la Fideuà della Mai. Non perché conoscessi questo piatto (nonostante un mese intero passato in Spagna, in gioventù …) ma perché mi permetteva di legare tanti sentimenti: il legame che provo per la Spagna, la nostalgia per il paesello natio e, cosa non trascurabile, l’amore per il mare. Ben venga quindi un piatto inventato in una cambusa, con il frutto del lavoro quotidiano e ciò che si aveva a disposizione.
Le Strade della Mozzarella … la manifestazione sta per arrivare! I “segni premonitori” già ve li avevo raccontati qui..ma ormai ci siamo, Maggio non è tanto distante!
Proprio per questo partecipo anche quest’anno al loro contest, indetto insieme a Pasta Leonessa. La sfida in questa edizione è un grande classico: connubio pasta mozzarella. Sembra ovvio ma mica è così scontato.
Albertino è un tipetto tutto particolare. Sarà anche che vive in una famiglia di insegnanti, presidi, professori..ma il suo vivo interesse per la storia e per la storia antica mi sorprende sempre. Insomma, potergli raccontare, alla veneranda età di 7 anni e 5 mesi, le gesta di Achille e Compagni nella battaglia più famosa della letteratura e trovarlo anche attento e partecipe mi riempie di italico materno orgoglio.
Al tornar de la mente, che si chiuse
dinanzi a la pietà d’i due cognati,
che di trestizia tutto mi confuse,
novi tormenti e novi tormentati
mi veggio intorno, come ch’io mi mova
e ch’io mi volga, e come che io guati.
Io sono al terzo cerchio, de la piova
etterna, maladetta, fredda e greve;
regola e qualità mai non l’è nova.
Dante è appena uscito dal secondo girone infernale. Sta lentamente riemergendo alla lucidità dopo essere venuto meno in seguito al doloroso e commovente discorso fatto da Francesca e da Paolo: il loro pianto e il loro racconto l’hanno mosso a tal punto di pietà da non riuscire a mantenersi e caddè “come corpo morto cade”.
Rinvenutosi, si trova nel girone dei golosi, quello dove “per la dannosa colpa de la gola”, i dannati sono costretti a giacere col viso rivolto verso la terra, imputridita da grandine, acqua scura e neve. Cerbero, “fiera crudele e diversa”, con le sue tre teste e le mani unghiate, graffia e squarta gli spiriti, e abbaiando rintrona le anime tanto che l’unico desiderio è quello di essere sordi.
Questa è la pena prevista da Dante per coloro che hanno lasciato che i piaceri del cibo sopraffacessero la loro ragione, la loro volontà, che il mangiare diventasse la ragione del vivere.
Il legame fra il cibo e la Divina Commedia è profondo. Lo stesso Boccaccio parlando del rapporto di dante col cibo scrive: “Nel cibo e nel poto fu modestissimo, sì in prenderlo all’ore ordinate e sì in non trapassare il segno della necessità… né alcuna curiosità ebbe mai più in uno che in uno altro: li dilicati lodava e il più si pasceva di grossi, oltre modo biasimando coloro, li quali gran parte del loro studio pongono e in avere le cose elette e quelle fare con somma diligenza apparare, affermando questi cotali non mangiare per vivere, ma più tosto vivere per mangiare”.
Dante quindi, non amava la ricercatezza nel cibo, ma la sobrietà, il mangiare semplice il rispetto delle regole canoniche.
Ricordiamo che viveva in un’epoca in cui erano ben presenti le indicazioni dei padri della Chiesa. La gola era uno dei sette vizi capitali e i dottori della Chiesa avevano una sottile casistica del modo in cui il peccato poteva consumarsi: praepropere laute nimis ardenter studiose (‘mangiando fuoritempo, molto frequentemente’; ‘ricercando cibi prelibati’; ‘eccedendo nella quantità’;‘con soverchia avidità’; ‘esagerando nei condimenti’). Dante sembra tenere molto a queste indicazioni, così come all’abitudine medioevale di mangiare due volte al giorno: la mattina fra le 9 e le 10 (il desinare) e la sera, al tramonto del sole (il cenare). Solo i nobili e i ricchi indulgevano nel mangiare tre volte, introducendo il rito della merenda, insieme alla raffinatezza dei tovagliati, ai buffoni e ai giullari. Tutti artifizi che Dante non approvava.
Eppure quanta pietas nei confronti dei lussuriosi prima e dei golosi poi. Tanto è vero che si ritrovano nei primi due gironi infernali (quelli meno “gravi”) e si ritroveranno, nel purgatorio, nelle ultime due cornici prima di poter accedere al paradiso.
Perché questo lungo discorso su Dante e sul poema sacro dove il Sommo Poeta ha” posto mano cielo e terra”? In un certo senso la “Colpa” (o meglio dire il merito) è della Patty e dell’mtc di questo mese! Mi perdoneranno i dantisti e i puristi della Divina Commedia. Amo Dante anche io e sicuramente l’intenzione non è quella di mescolare il sacro con il profano ma succede che anche una ricetta possa farti ricordare un grande poeta e così d’improvviso farti venire la voglia di andare a investigare sulla cucina di quello specifico periodo. D’altronde credo che ormai gli stessi toscani abbiano fatto il callo all’associazione Toscana-Dante. Pensando così ai pici, ai piatti tradizionali e ad un prodotto slow food ormai quasi scomparso ma molto comune nei secoli addietro mi son trovata a pensare a quale fosse il mangiare di Dante, considerando come spesso tante descrizioni della Divina commedia richiamano il gergo tipico delle ricette. Leggendo un libro interessante e cercando qua e là in rete, di cose se ne trovano molte. E capisci anche come intuizioni, modi di dire e di fare in cucina si siano trasmessi invariati nel corso dei secoli. Fino a quel momento la popolazione più povera mangiava solo pane di orzo e di altri cereali (“biada”) mentre è solo nel perdio di dante che si diffonde , soprattutto per i più ricchi, il “pan degli Angeli” ovvero il pane bianco, pane di frumento. Pian piano la farina di frumento entrerà nella vita della gente fino a diventarne parte integrante, ma ai tempi dante era una rarità.
Ed io, in un pomeriggio piovoso, (come ho capito la piova etterna, maladetta, fredda e greve dantesca!) mi son ritrovata con questi pensieri del cibo medievale e con la voglia di inventarmi del pici. Dopo aver riletto l’inferno della Divina Commedia, mi veniva in mente solo un piatto povero ed umile, con ingredienti un po’ lontani dal nostro quotidiano ma tutti da recuperare. Avevo la roveja di Civita di Cascia , questa sorta di pisello selvatico con sentore di fave e di erbe, usata tuttora in Umbria per molte zuppe, bruschette e, ridotta in farina, come polenta condita con acciughe, aglio e olio. Mi sembrava il momento buono per riprovare dei sapori sicuramente non comuni per noi, ma antichi, non sofisticati dal nostro tenore di vita gastronomico. Il connubio non mi ha certo deluso.
La ricetta dell’impasto dei pici la trovate nel post precedente. In questo caso ho aggiunto 50 g di farina di roveja (ottenuta, banalmente, usande il cutter migliore che avevo e un buon setaccio)..ha assorbito un po’ di acqua in più rispetto al normale impasto, ma nulla di trascendentale (che ci sta bene in questo caso, diciamolo!).
Devo però fare ammenda: mi sono lasciata tentare da un paio di fettine di Lardo di Arnad da aggiungere per insaporire sia la roveja che il condimento a base di cipolla. Credo che, agli occhi di Dante, questo mi costerà qualche secolo in più al Purgatorio, se non una destinazione peggiore….decidete voi cosa rischiare!
Ingredienti
Procedimento