Il bignè di San Giuseppe, ovvero quello che, per un romano, rimane l’indiscusso dolce della festa di San Giuseppe.
Capiamoci: so benissimo che la zeppola napoletana è famosissima (ottima senza dubbio) e ormai diffusa in tutta Italia. Ma a Roma, da fine febbraio e fino al 19 Marzo, i bignè di San Giuseppe la fanno da padroni. Per me, pur figlia di un papà con origine campane, la zeppola era addirittura qualcosa di esotico, mangiato solo se capitavamo giù in quel periodo. Immaginate lo sconforto nel vedere, molti anni dopo, così trascurato questo gioiello della pasticceria.
E allora rivalutiamolo, il bignè per antonomasia.
Roma è una città incredibile. Sarà che sono di parte, ma ciò che mi colpisce è la presenza di segni artistici di mille epoche e stili diversi. Epoca romana?Città con più segni dell’impero romano nonpotrei trovare. Medioevo? C’è ma si può definire Roma solo una città Medievale? No, perchè mica è solo questo. Il Rinascimento, il Barocco, l”800…potrei continuare…c’è tutto. Secondo me uno dei motivi per cui la chiamano la Città Eterna è che non si finisce mai di scoprirla. Si può andare in giro eternamente appunto e trovare sempre qualcosa di nuovo e purtroppo è vero che proprio i suoi abitanti conoscono poco della loro città. Quando ho letto del contest di Simona, Cib’Arte, il pensiero è stato “se non trovo qualcosa io….”.
Usufruire del servizio postale, in una città come Roma, non è cosa da poco. File interminabili, litigate nonstanti i numeri d’ordine, malumori contro la lentezza del personale e delle persone davanti (d’altronde si sa che quello lento è sempre davanti a noi, è una delle leggi di Murphy più comuni!). Spesso accade che, per tentare di ovviare a tutto questo, vada alla posta del paesino vicino: abitando in estrema periferia, mi posso almeno permettere il lusso di scegliere fra fila in città e fila in paese! In generale, la posta al paese vicino ha un ordine di grandezza di caos nettamente inferiore a quella del mio quartiere e quindi, per spedizioni, raccomandate, bollettini e via dicendo sta diventando la filiale preferita. Siccome però c’è sempre l’eccezione che conferma la regola, quel giorno c’era una bella fila anche lì: dovevo spedire un pacco e avevo a carico La Pasionaria! Una combinazione tremenda, come avrei avuto modo di verificare in seguito! Il tempo passava e sinceramente non sapevo più cosa fare per trattenerla: fortunatamente, ha pensato lei a creare diversivi!
Ha infatti cominciato a parlare di un argomento che ultimamente sta molto a cuore sia a lei che al fratello più grande:
“Mamma, io ho il pisel…” “No!” ho risposto prontamente “sai bene che quella è la parte di Albertino!”
Sono molto fiera di affrontare, con i miei figli, l’educazione sessuale senza eccessivi tabù: cerco di applicare le moderne teorie, per evitare complessi e qualsivolglia turbe o imbarazzi su un fattore naturale e normale, etc. etc.. Da Freud in poi dovremmo pur aver imparato qualcosa (ed è per questo che durante la mia seconda gravidanza Albertino andava in giro a raccontare di “Oguli” e “spermazoi” vari…mai una cicogna e un cavolo hanno varcato le soglie di casa mia..o meglio, il cavolo solo per essere mangiato :) ) Il” piccolo” problema è che come al solito, ai figli tu gli dai un dito e loro si prendono il braccio e pure la gamba! Infatti a questo punto, La pasionaria ha cominciato a spiegare ad alta voce, di quale parti anatomiche fossere dotate lei e il fratello, con precisione quasi scientifica e nessun imbarazzo (tranne quello mio, crescente..). Al che, il pubblico era ormai conquistato. Una signora con aria indulgente ha esordito dicendo “Beata gioventù, sarebbe bello essere così ingenui” e un signore si è addirittura lanciato in una battuta “Eh beh, l’importante è avere le basi fondamentali”, stimolando la comune ilarità, tranne che la mia. Meno male che nel frattempo era giunto il mio turno: dovevo solo spedire il pacco e contavo sulla rapidità. Contavo male, dato che, avendo scaricato dal sito ufficiale delle poste il modulo di invio per posta celere, la gentile impiegata era ovviamente andata in tilt: non sapeva che fare e ha cominciato a rimproverarmi di non aver usato il vecchio modulo a penna. A quel punto era una questione di principio! Non intendevo spedire quel pacco se non col mio modulo e quindi la dipendente ha cominciato a telefonare a tutte le filiali in un intorno di 5 km per farsi spiegare al telefono come fare. Nel frattempo, La Pasionaria continuva a spiegare con dovizia di particolari le differenze anatomiche fra maschi e femmine, tanto che ormai i vari signori mi guardavano con sospetto!. A tutto questo si è aggiunta la sua improvvisa voglia di cantare l’Inno d’Italia (si sa che a casa mia i 150 anni dell’Unità hanno avuto grande rilievo): prima fa una piroetta e poi attacca:
“Frateelli, L’Italia, L’italia s’è dettta, dell’ellmo di cipio s’è INCINTAAA la tettta!”
Ora, io lo so che questo è il suo modo di cantare l’inno e che quelli sono errori non voluti. Certo è che sentire che si è INCINTA la Tetta dopo il discorso di prima, sembrava quantomeno sospetto, ancor più che la manigolda bimba, si è messa a ripetere in continuazione solo questa frase, pur sapendo a memoria tutta la canzone. Io ovviamente stavo litigando con la dipendente ma quando mi sono accorta degli sguardi, ormai di disapprovazione, delle altre persone, ho tagliato corto, ho spedito il pacco e mi sono beccata anche un ” e la prossima volta usi mezzi tradizionali…..”
Personalmente non credo molto nell’ingeniutà dei bimbi piccoli, men che meno in quella dei miei. Appena saliti in macchina, la portarice sana di “ingenuità” scoppia in una risatina e mi fa “hai fatto una figuraccia…”. E lo sapevo che dovevo parlare di cicogne e cavoli…ormai il danno era fatto, quindi mi sono semplicemente diretta, insieme al bagaglio di teoria moderne sul come non creare tabù ai bambini, verso il miglior Norcino della zona: come dire, almeno affoghiamo tutto nel cibo!
Quel norcino lì, una sorta di paese delle meraviglie per appassionati di salumi, maiali & co. vende anche una cosa buonissima: la crema di lardo e guanciale! La vende anche a differenti gusti: basilico, rosmarino, tartufo, olive e chi più ne ha più ne metta. Questa crema, ottima sulle bruschette e sulla pizza bianca, ho deciso di provarla su una semplicissima pasta che facciamo solitamente quando abbiamo fretta. L’ha resa cremosa e saporita! Non dietetica ma adattissima al bel pic nic sul balcone che abbiamo improvvisato al volo, rigorosamente tutto colorato e in plastica! (Questa azienda fa cose molto carine e mi sbizzarrirò un pò con i loro prodotti)
RICETTA: TAGLIATELLE ALL’ABRUZZESE CON CREMA DI LARDO E GUANCIALE AL BASILICO
Ingredienti:
Procedimento
In una padella con i bordi alti, mettere un pò di olio evo e lascia soffriggere la cipolla rossa tagliata sottile. Aggiungere la pancetta e far rosalare per bene (ma senza seccarla). Nel frattempo, cuocere la pasta nell’acqua bollente, scolarla e versarla nella teglia. Aggiungere una bella manciata di pecorino e un cucchiaio di crema di guanciale (se non l’avete potete fare anche senza..è solo un cremoso tocco in più). Aggiungere il basilico fresco (e a chi piace anche la salvia) e rigirare sul fuoco per un minuto o due, fino a far amalgamare tutti gli ingredienti. Servire ben caldo.
P.S.: perchè all’Abruzzese? non lo so, l’abbiamo sempre chiamata così!!!!
Dopo due post un pò…”sopra le righe” che ne dite di tornare a parlare di cucina e, perchè no, di mise en place?
L’altro giorno finalmente era spuntato un bellissimo sole, faceva anche caldo e il cinguettio degli uccellini era esplosivo..vi pare che tutto questo scenario idilliaco non ispirasse la mia voglia di cucinare???? Vi dirò di più: in un momento in cui, per non so quale strana congiunzione astrale, mi trovavo da sola a casa, calma e tranquilla senza le mie piccole pesti a interrompermi ogni 3 secondi dall’esatto momento in cui prendo un cucchiaio in mano, ho deciso di provare un’altra ricetta di Antonello Colonna (dato che la prima aveva passato l’esame a pieni voti) e di apparecchiarmi di tutto punto (non ci crederete..ma era tutto per me). Il tema della mia tavola? Ma il verde naturalmente! Più in tono con la primavera di così..si muore!
Fra le tante proposte di Colonna, lui stesso nell’introdozione aveva citato degli” sformatini di verza e patate con lardo e caciottina fresca”. Mi intrigavano e non poco! Non avevo proprio tutti i suoi ingredienti ma una variazione sul tema ci stava benissimo! Così sono venuti fuori questi sformatini di verza e patate con pancetta arrotolata e canestrato: un piatto che riesce a essere allo stesso tempo delicato e saporito, avvolgente e stuzzicante e può essere servito come antipasto ma anche come secondo.
Vi lascio la mia versione ma fra parentesi vi metto quella di Colonna perchè credo che valga veramente la pena provarla.
RICETTA: SFORMATINI DI VERZA E PATATE CON PANCETTA ARROTOLATA E CANESTRATO MOLITERNO
Ingredienti (per 2 persone)
Procedimento
Lavare la verza e le patate pelate, mondarle e tagliarle a julienne (per le patate ho usato la grattugia a fori larghi). Stufare i filetti così ottenuti con l’aglio, l’olio e il sale (aggiungere il peperoncino se piace..io non l’ho messo). procedere con la cottura fino a quando sia le patate che la verza non saranno abbastanza morbide da essere schiacciate con una forchetta (una ventina di minuti e ho aggiunto una volta un pochino di acqua). regolare di sale e togliere dal fuoco. Utilizzando deu cucchiai, comporre delle chenelle e adagiarle nel piatto. Grattuguarvi sopra un pò di canestrato e disporre sopra una fetta di pancetta arrotolata. Qualche altre scaglia di Moliterno e un filo di olio a crudo a completare il piatto.
Ho pensato che questo post fosse adatto e quindi lo mando ad Ambra per il suo “mise en place”
Per andare in vacanza a Sapri (Sa), dobbiamo prendere la Roma-Napoli, con tutto quello che può significare: traffico, file interminabili, partenze intelligenti alle 10 di sera o alle 3 del mattino, il tutto sperando di non trovare ingorghi, non solo sulla Roma-Napoli ma soprattutto sulla Salerno-Reggio Calabria, croce e delizia dei tanti turisti (croce perchè i lavori ventennali sono ancora lì, e delizia perchè quella strada è quella che conduce in posti meravigliosi!). Cosa c’entra questo con la ricetta? Ebbene, quando proprio vediamo che la fila comincia ancora prima del casello di ingresso, in genere scegliamo di aggirare l’ostacolo dei primi km percorrendo la Casilina e attraversando i suoi paesini per poi immettersi successivamente sull’autostrada. Si dà il caso che uno di questi paesini sia Labico e sempre il caso vuole che si passi davanti una porta rossa scura, bellissima, senza vetri e mio padre ogni volta mi diceva che quella porta nascondeva un ristorante bellissimo (ma ahimè, non alla nostra portata!). Solo anni dopo, con la mia passione per la cucina, ho scoperto che quello era il ristorante di Antonello Colonna e tuttora, quando ci passo davanti ho la voglia di fermarmi e bussare…o anche di farmi una foto, tanto per fermare il momento. Io non ho mai avuto modo di assaggiare i suoi piatti ma ne ho sempre sentito parlare come uno dei migliori chef di Roma e d’Italia. Poi prima dello scorso Natale, cosa vedo in uno dei miei classici agguati alle librerie? Il suo libro: I segreti della cucina italiana. E non potevo non regalarmelo. Perchè adoro i libri di carta, sfogliarli, guardare le foto..mi sembrano più belle dal vivo. E avere un libro di un grande chef, che se ne condivida o meno la filosofia, il modo di fare e di interpretare la cucina, è comunque importante perchè dà la possibilità di ragionare su un piatto e di scoprire cose nuove a cui magari non avresti pensato. Finalmente sono riuscita a provare una delle ricette che mi ha colpito (e sono tante!!): ajo e ojo di mare.
“Un piatto per non vedenti”, lo definisce Colonna, mettendo in evidenza il fatto che secondo lui, questo piatto non è bello esteticamente ma non ne ha bisogno per la bontà. Sarà..io quando guardo la foto del suo libro,questi spaghetti li trovo “poetici”: un nido di spaghetti su un laghetto di salsa liscia e vellutata color rosa antico. Nelle mie foto noterete che la salsa non è affatto così morbida ma purtroppo non ho un buon cutter e ho dovuto accontentarmi..ma ho pensato di mostrarvelo lo stesso perchè ne vale la pena!
Vi lascio con vero piacere la ricetta con una sola annotazione: mi è stato gentilmente chiesto di provare un prodotto dell’Ariosto, il preparato con erbe fresche. La prima cosa che ho fatto è guardare l’etichetta e questi sono gli ingredienti: sale marino, rosmarino, aglio, salvia, ginepro, alloro, origano, prezzemolo e piante aromatiche. Null’altro, niente coloranti, conservanti, glutammato monosodico, esaltatori di sapidità etc etc e se ci fossero stati ve l’avrei detto. L’ho usato in questo piatto perchè non avevo tutte le erbe fresche e ha dato un aroma molto gradevole al pesce. Mi ha fatto piacere scoprire un prodotto comodo e senza ingredienti che entrerebbero di corsa nella lista delle cose che non esistono :)).
RICETTA: AJO E OJO DI MARE DI ANTONELLO COLONNA
Ingredienti (per 4 persone)
Procedimento
Soffriggere un trito di cipolla, sedano, carota, aglio e prezzemolo in olio evo. Aggiungere i pomodori e di seguito la rana pescatrice spellata e tagliata a pezzi (in questa fase ho aggiunto due cucchiaini delle erbe aromatiche adatte per il pesce). Cuocere per circa due ore (ho messo a fiamma bassa e dopo un’ora e un quarto ho aggiunto mezzo bicchiere di acqua perchè si era asciugato un pò). Frullare il tutto, anche la carcassa e passare al setaccio per ottenere una crema (qui ho avuto il problema che il mio cutter non ha reso la crema abbastanza fine…spero di rimediare presto …comprandomi un cutter!). A parte mettere a bollire la pasta e poi condirla con un soffritto di aglio, olio, peperoncino e una spolverata di prezzemolo, completando con la crema di pesce, messa sul fondo del piatto.
Mio marito è sommelier e gli ho chiesto (da vera profana e astemia) quale vino ci avrebbe abbinato. Mi ha risposto che ci avrebbe abbinato un Torre del Giano- Cantine Lungarotti (trebbiano 70%-grechetto 30%)…Ho pensato che sarebbe carino abbinare ad ogni ricetta un vino, magari gli appossionati gradiranno!
A Santo Stefano per noi è tradizione festeggiare con i parenti di mio marito. Si va tutti a casa di Zia Anna. Ogni anno, la scena è sempre la stessa: già in macchina, cominciamo a pregustare quello che sarà il nostro antipasto, ovvero la stracciatella. Non intendo quella cosa meravigliosa che è la stracciatella pugliese, ma la stracciatella romana, piatto tradizionale riservato al pranzo del dopo Natale perchè ” leggero”. Che sia leggero, ecco, non saprei…probabilmente se consumato da solo, secondo le antiche tradizioni, forse si può condividere. Considerando che per noi costituisce l’antipasto e che normalmente si fa il bis in attesa del primo, qualche dubbio sulla leggerezza si può sollevare…Il problema è che la reale leggerezza del risultato (e il fatto che la stracciatella sia buonissima) ingannano un pò ma durante le feste si chiude un occhio!
La stracciatella è un impasto fatto di uova, formaggio grattugiato, limone e sale, cotto nel brodo. Nient’altro. Come dosi si considera un uovo a testa (infatti noi eravamo 20 e zia Anna ha preparato 25 uova…si vede che ci piace poco!). Ogni anno scende sempre un pò di silenzio a tavola mentre si gusta la stracciatella (personalmente sono conquistata dal profumo del limone) e, una volta finita, c’è sempre una persona che dice :” Chissà perchè la facciamo solo nelle feste..”
Ricetta: Stracciatella di Zia Anna
Ingredienti:
Procedimento:
Mettere le uova, il parmigiano e il limone in una terrina e sbatterle bene a lungo. Regolare di sale. La consistenza deve essere più o meno quella della besciamella.
Versare nel brodo caldo a fiamma alta e rigirare ogni tanto fino a che non si forma i “grumi” di stracciatella. Servire ben caldo.
La tradizione familiare romana vuole che di secondo ci siano il bollito e le puntarelle (sempre per rimanere leggeri dopo il pranzo di Natale!)