E stanno per finire. Le feste intendo!
Ieri Albertino mi ha detto, molto seriamente “mamma, la Befania sta arrivando” (facendo un mirabile mix fra Befana ed Epifania)
“Sì, sarà fra due giorni”
“Ecco. Sei andata a parlare con Quella Signora? Io qualcosa vorrei”
Ancora una volta Caris mi ha aperto le porte del suo blog per permettermi di partecipare staffetta natalizia di Compagni di Blogger e gliene sono grata. La nostra Tina e Caris prima di me hanno ben spiegato l’iniziativa e, visto che le le mie ricette richiederanno una lunga lettura, mi limitero’ semplicemente a presentarvele. Per questa staffetta ho scelto di presentare la frutta accompagnandola ai formaggi in maniera non del tutto tradizionale, incorporando in ogni preparazione, sia la frutta fresca che quella secca.
Grazie anche a Luciano Pignataro che ha consigliato per l’abbinamento del vino:
“Su questo piatto molto moderno di concezione non è facile scegliere l’abbinamento, dipende in quale direzione vogliamo andare. Forse il Fumin di Anselmet, piccola e solida cantinta valdostana, può essere la giusta soluzione.”
Ed eccoci alla prima giornata della settimana dedicata, da noi Compagni di blogger, al re dei dolci napoletani, ovvero il babà. La settimana sarà ricca di sorprese e proposte sorprendenti e divertenti ma non mancheranno ricette tradizionali, racconti delle origini del dolce e delle tradizioni. Io sono molto felice ed orgogliosa di poter ospitare, come vi avevo detto nel precedente post (link al post), una nuova compagna di avventure: Rossana Iodice. Sono certa che la sua esperienza, preparazione e generosità nelle spiegazioni saranno di aiuto a tutti noi, così come lo sono sempre sul forum di gennarino. In bocca al lupo Rossana…e che il divertimento inizi!!!”
Salve, sono Rossana e prima di tutto vorrei ringraziare tutte le amiche di Compagni di Blogger che mi hanno permesso di partecipare a questo progetto, pur non avendo un mio blog, ma soprattutto la mia amica Caris, che mi ha gentilmente ceduto lo spazio qui, nel suo blog. A cominciare da oggi, Compagni di blogger presentera’ un’assortimento di ricette per onorare sua Maesta’ il baba’ ed io mi permetto di aggiungere una breve nota biografica sul re indiscusso della pasticceria partenopea.
Le origini del babà – sebbene circondate da leggende e racconti più o meno attendibili – sono indubbiamente legate ad un sovrano vero e proprio, Stanislao Leszczyński, re di Polonia per ben due volte (dal 1704 al 1709 e successivamente dal 1733 al 1736) e ad un pasticciere alsaziano di nome Nicholas Stohrer.
Di re Stanislao si dice che oltre ad essere un buongustaio, fosse anche un cuoco dilettante. Ed è forse questo che ha dato vita all’ipotesi che fosse stato lo stesso sovrano ad inventare il dolce che oggi conosciamo come “babà”. Tra i sostenitori di questa teoria, il famoso giornalista culinario Grimod de la Reyniere. A dissentire, invece, sono proprio i proprietari della pasticceria Stohrer di Parigi, la più antica della capitale francese, fondata dallo stesso Nicolas Stohrer nel 1730.
Secondo il loro racconto, fu Nicholas, allora apprendista, a bagnare con vino Malaga una specie di brioche secca polacca, che il re aveva portato indietro da un viaggio in Polonia. Successivamente, Stohrer l’avrebbe anche profumata con lo zafferano e arricchita d’uva di Corinto. Pare che il re, in quel periodo, fosse intento alla lettura delle “Mille e una Notte”, che erano da poco state tradotte in francese da Antoine Galland e che abbia quindi deciso di battezzare questa nuova creazione culinaria dagli aromi reminiscenti l’Oriente, con il nome di Ali Babà, in onore del famoso personaggio di quella raccolta letteraria.
Leggende e racconti a parte, “baba” (o babka) non è altro che il nome polacco di un dolce lievitato comune a molti paesi europei: gugelhopf or kugelhopf in Austria, Svizzera e Germania meridionale; bundtkuchen nel resto della Germania e koughlof in Alsazia. Un dolce d’origini antiche, la cui presentazione è resa maestosa dagli stampi alti con le pareti spesso decorate in cui si suole cuocerlo. Preparare dolci lievitati per celebrare gli eventi importanti della vita – e soprattutto per celebrare la Pasqua – appartiene alla tradizione europea. Considerando la diffusione di questo dolce, si può facilmente presumere che il vero merito di re Stanislao sia stato quello di rendere famosa in Francia, con il nome polacco, la versione elaborata nelle cucine della sua residenza.
Al pasticciere del re, invece, va riconosciuto il merito di aver introdotto il “Babà” dapprima alla corte di Francia – quando nel 1725 si trasferì a Versailles al seguito di Maria Leszczyńska, diventata moglie di Luigi XV – e successivamente ai benestanti frequentatori della pasticceria che aprì nel 1830 in Rue Montorgueil, a Parigi. Il babà rimane tutt’ora il vanto di questa pasticceria.
Il gusto principale del babà di quei tempi era caratterizzato dalla presenza nell’impasto dello zafferano e dell’uva di Corinto, nonché dalla bagna di vino liquoroso (Malaga o Madeira, come risulta da alcune pubblicazioni). Non si sa con assoluta certezza quando il rum abbia preso il posto dei vini liquorosi.
A Napoli il babà arriverà parecchi anni più tardi, grazie a Maria Carolina d’Austria, moglie di Ferdinando IV di Borbone, la quale chiamò al suo servizio cuochi francesi facendo sì che la cucina francese divenisse simbolo di eleganza e sinonimo di ricchezza, e quindi promuovendo l’ingresso della figura dei Monzù ( interpretazione dialettale di Monsieur) – ovvero i cuochi francesi d’origine o quelli che avevano imparato da questi ultimi – presso tutte le case nobiliari del regno.
Questo dolce, una volta prerogativa esclusiva di reali e nobili, oggi è patrimonio della pasticceria tradizionale napoletana.
Passando al dunque, eccovi la mia ricetta: minuscoli baba’ al rum incastonati come perle in una morbida e ricca ganache di cioccolato. Per l’abbinamento col vino, Luciano Pignataro dice: “A questo dolce così robusto, in fondo dominato dal cioccolato, proviamo il Moscato di Trani 2008 di Franco Di Filippo, un vino dolce di grande spessore, fresco, complesso, per dare una spinta nel palato a questo dolce.”
Mi raccomando, dopo aver letto la mia ricetta non perdetevi il Baba’ tradizionale ed i preziosi consigli di Teresa
Ingredienti
Procedimento
*Per la ricetta del baba’, ho scelto di utilizzare quella pubblicata da Rimmel sul forum di gennarino
A volte i figli ti fanno richieste difficili da esaudire. La Pasionaria poi, ha un’arte a parte nel chiedere le cose nella maniera più “particolare” e guai a farle notare che forse non si è espressa nel modo più appropriato.
L’altra sera siamo andate a dormire. Non è cosa banale, specialmente a 4 anni! Ogni mamma sa che la sera esiste il cosiddetto “rito della nanna”, che può andare da denti-pigiama-canzoncina- nanna, nel migliore dei casi, a denti- pigiama-favoletta-strilli vari-canzoncina-“mamma perché mio fratello può stare in piedi e io no”- acqua-nanna (ma siate ottimisti..il peggiore dei casi non lo resta mai per troppo a lungo: c’è sempre qualcosa che lo supera in peggio).
“Leggo per legittima difesa”, diceva Woody Allen. Il mio problema è che la legittima difesa devo adottarla proprio verso i libri. Già in generale leggere è la cosa più bella del mondo, se poi il libro in questione riguarda una delle tue passioni, è interessante, ben scritto, con belle foto e con tanti spunti e spiegazioni che prima non avevi mai trovato allora la difesa che devo fare contro l’effetto che ha su di me è decisamente notevole.
Si dà il caso che un uccellino dispettoso (lei) quest’estate mi ha sventolato sotto gli occhi un bel libro di pasticceria. Ne parlava in maniera entusiasta e mostrava con orgoglio una foto mentre stava leggendo il libro in autostrada (non guidava lei, ve lo giuro). E parla di qua, esalta di là, mi sono cominciata a chiedere perché tale libro non si trovasse nella mia biblioteca. Inaccettabile.
E allora eccolo qui, la new entry:
Tradizione in Evoluzione di Leonardo Di Carlo. Professionale e chiaro nello stesso tempo e con delle ricette che non riesco a smettere di guardare. Sto passando in rassegna le varie pagine facendo “bim bum ba le giù” per decidere quale provare prima. Insomma, avete compreso quanto sia tiepido il mio entusiasmo per questo libro!
La ricetta che ho visto e che ho provato immediatamente è stata quella dei Croissant con poolish.
Leggere il titolo e cercare di reperire gli ingredienti è stato un tutt’uno.
Non avevo programmato di farli. Ieri ho visto la ricetta e ho cominciato. E oggi ho potuto godere del risultato e considerate che erano i mie primi croissant e che la temperatura di lavoro non era certo quella consigliata sul libro. Ma di aspettare climi migliori non se ne parlava e quindi ho voluto rischiare. Sicuramente dovrò riprovarli per far meglio (lo so, io mi sacrifico sempre) ma intanto la ricetta ve la segnalo perché merita davvero.
Ingredienti
Procedimento
Ho capito che amo il pane dolce, da quando ho scoperto quello al cocco. E’ buono, leggero, profumato … assomiglia ad una brioche ma è inevitabilmente più leggero!!! E’ la sua sofficità ad avermi conquistato! E quindi è normale che ne stia provando di più tipi! E mi danno grandi soddisfazioni! Non sono impasti facilissimi da maneggiare, però vale la pena!
Maria Carolina d’Austria, tredicesima figlia di Maria Teresa D’ Asburgo, sposò nel 1768 Ferdinando I di Borbone, per rafforzare l’alleanza austriaca con la Spagna, governata dal padre di Ferdinando, Carlo III. In realtà ne lei era la sposa designata (doveva essere la sorella maggiore, che morì prematuramente di vaiolo) ne lui doveva essere l’erede al trono essendo terzogenito ma una serie di circostanze sfortunate li portarono alle nozze: lei bella, colta, raffinata e figlia di una delle donne con più senso politico della storia, lui con un’educazione rozza, poco curata, non bello (per il suo naso a forma di bolla era famoso per essere chiamato Re Nasone), abbastanza indolente ma di buon senso. Oggi diremmo una coppia malassortita, che ebbe però 18 figli (di cui solo 7 viventi) e che portò numerose riforme nel Regno (come la revoca del divieto delle associazioni massoniche), seguendo l’inclinazione di Maria Carolina verso l’Assolutismo Illuminato.
Maria Carolina prese in mano le redini del Regno, soprattutto dopo la nascita del primo figlio maschio (una clausola del Matrimonio, voluta da Maria Teresa, prevedeva che la regina entrasse nel consiglio di Stato dopo la nascita dell’erede al trono) . La Regina viene anche considerata una femminista ante litteram, essendo la promotrice del Codice Leuciano, in cui si prevedeva grande attenzione al ruolo della donna, tanto da sancirne l’uguaglianza con l’uomo. Non fu molto popolare, forse perchè il suo scopo era quello di trasformare il Regno in una base nel Mediterraneo per l’Austria o forse perchè tutte le riforme e le leggi non erano per il popolo ma per la sua ambizione.
Perchè vi parlo di Maria Carolina? Perchè questa donna è una figura fondamentale (e inconsapevole) per la storia e la tradizione della cucina italiana e in particolare per la cucina campana e siciliana. Infatti, quando si sposò, Carolina introdusse con insistenza i cuochi francesi, simbolo di eleganza e ricchezza, all’interno della corte borbonica, dando impulso all’ingresso della figura del Monzù nella case di tutti i nobili del regno. Il Monzù (Monsù in siciliano..e ne riparleremo), traduzione dialettale di Monsiuer, era molto più di un cuoco. Aveva un ruolo riconosciuto all’interno della casa, come artista che aumentava il prestigio della famiglia. L’arrivo del Monzù e delle ricette della cucina francese diede avvio alla fusione dei capisaldi della cucina d’oltrealpe con la tradizionale cucina campana e siciliana, con i risultati che noi fortunati possiamo gustare ancora oggi.
La storia dei Monzù è per me davvero interessante. Se penso al Monzù, il primo piatto (o capolavoro che dir si voglia) che mi veine in mente è il Timballo di pasta: ricco, succulento e esteticamente appagante rappresenta benissimo la necessità di stupire gli ospiti di una cena nobile. Ne parlavo poco tempo fa con Luciano Pignataro e gli ho chiesto una ricetta che ritenesse affidabile. Lui mi ha gentilmente inviato una nota di Raffaele Bracale, nota in cui è riportata una ricetta che non mi aspettavo : un timballo (o timpano) di pasta in bianco, senza sugo e con molte verdure, patate e formaggio. Dovevo provarlo e questo è il risultato. Vi lascio la ricetta anche perchè mi sembra adattassima per queste feste di inzio anno. Tra le cose molto interessanti che scrive su questo timpano con ragù di ortaglie, Raffaele Bracale conclude la sua nota con una frase”
“Mangia Napoli, bbona salute! E scialàteve!”
E per me quello “scialateve” è bellissimo!Ha un mondo di significato dietro, come spesso accade alle parole dialettali napoletane! E’ usatissimo nella famiglia di mio padre e lo uso anche io …diciamo che mangiando questo timballo l’espressione più adatta è “mi sto scialando”!
RICETTA: IL TIMBALLO ALLA MANIERA DEL MONZU’ (versione campana)
Ingredienti (per 6 persone)
Procedimento
In una pentola alta unire olio, aglio, carote, patate e zucchine mondate ed affettate. Aggiungere cipolle , sedano, basilico ed una presa di sale grosso. Lasciate stufare il tutto per circa venti minuti.Alla fine unire il macinato, bagnare con una tazza da tè d’acqua bollente e lasciar cuocere per altri quindici minuti; aggiustare di sale e pepe rimestando benissimo. Lessare molto al dente la pasta in acqua salata (pugno di sale grosso) ed aggiungerla allo stufato di ortaglie e manzo cosí ottenuto. Aggiungere i cubetti di salame, rimestare e mantecare a mezza fiamma con due cucchiai di burro ed il formaggio pecorino grattugiato finemente. Verniciare ed ingranire con un po’ di burro e con il pane grattugiato fondo e parete di uno stampo alto a calotta sferica, formare un primo strato di pasta condita ed aggiungete uno strato di fiordilatte o di provola a fettoline; formare un secondo strato di pasta condita,pressare un poco la pasta e spolverizzare di pane grattugiato, aggiungere alcuni fiocchetti di burro ed infornare in forno caldo a circa 180° per 15/20 minuti, lasciare gratinare per qualche minuto prima di servire ben caldo.
Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso,Campi Flegrei d.o.c., Taurasi), stappati un’ora prima di usarli, possibilmente scaraffati e serviti a temperatura ambiente (Se Luciano avesse, per il vino, ulteriori suggerimenti sarò lieta di aggiungerli… :D )
E infatti…ecco la proposta di Luciano per il vino : Exultet 2006 di Quintodecimo o il Vigna della Congregazione 2005 di Vigna Diamante!!!!
“Canede…..che???”
Questa è la risposta che molte persone romane hanno dato a Maite quando ha raccontato che avevano scritto un libro sui canederli! Mi ha fatto molto ridere ma in effetti per tanti romani deve essere un argomento un pò ..oscuro! Quello che mi verrebbe da dire è che è un’ottima ragione per comprarlo, quel libro.
Roma è una città incredibile. Sarà che sono di parte, ma ciò che mi colpisce è la presenza di segni artistici di mille epoche e stili diversi. Epoca romana?Città con più segni dell’impero romano nonpotrei trovare. Medioevo? C’è ma si può definire Roma solo una città Medievale? No, perchè mica è solo questo. Il Rinascimento, il Barocco, l”800…potrei continuare…c’è tutto. Secondo me uno dei motivi per cui la chiamano la Città Eterna è che non si finisce mai di scoprirla. Si può andare in giro eternamente appunto e trovare sempre qualcosa di nuovo e purtroppo è vero che proprio i suoi abitanti conoscono poco della loro città. Quando ho letto del contest di Simona, Cib’Arte, il pensiero è stato “se non trovo qualcosa io….”.
Di cose in rete se ne trovano tante, poi nel settore culinario-gastronomico ancor di più! Cose indubbiamente particolari, innovative eccentriche, etc etc… questa però, confesso l’ignoranza, non l’avevo mai sentita: il burro di cocco! Voi direte..ehhhhh figurati lo sanno tutti! Io no e quindi quando l’ho visto da lei, sono rimasta un pò interdetta….e con la voglia irresistibile di provarlo! Neanche a farlo apposta, mia madre mi ha regalato un pò di farina di cocco da smaltire, vi pare che potevo deludere le aspettative di smaltimento??? :) E che burro sia! Effettivamente ne viene poco nonostante abbia usato una certa quantità di cocco…ma mi sono divertita troppo! E così mi sono ritrovata ben 40 gr, dico 40, di burro di cocco da utilizzare!
Non contenta, avevo della panna fresca che mi chiedeva insistemente di che morte dovesse morire! Pensando ad una mousse, l’ho messa nella mia planetaria a farla montare ben bene..se non fosse che faceva un gran caldo. E allora? e allora, siccome è praticamente matematico che mentre cucini ricevi la telefonata che aspetti da due giorni e che non ti fanno, il telefono ha squillato proprio mentre montavo la panna. Ho incautamente risposto e girato l’angolo…e alla fine della telefonata mi sono ritrovata non la panna montata..ma un bel pò di burro fatto in casa (come spiegava Paoletta). Beh, adatto per la mousse non era… e dato che l’occasione fa l’uomo ladro e la donna pasticcera :)…ho pensato bene di fare una torta con il burro homemade: quello di cocco più quello vaccino! Dovevamo andare a trovare dei nostri cugini che volevano farci vedere la loro nuova casa…e quindi andarci senza una tortina , anche se preparata in fretta e furia, mi sembrava bruttissimo!!!! Loro sono quelli che già si sono goduti un’intera cena con la mia tendina-da-campeggio light box montata sul tavolo della sala da pranzo, per fotografare i vari piatti! Che avranno pensato quando ho preso la torta e ho chiesto al padrone di casa le travi, le foglie di ulivo e i tronchi che stava utilizzando per sistemare il giardino..a puro fine fotografico???? Secondo me non ci invitano più! Ma il legno mi piace troppo..lo confesso! E così approfitto e faccio loro tanti auguri per la nuova bellissima casa (con un giardino pieno di angoli da fotografare..stay tuned!!!)
RICETTA: CROSTATA CON BURRO DI COCCO, PESCHE SATURNINE, LATTE DI COCCO E MARMELLATA DI FRUTTI DI BOSCO
Ingredienti
Per la frolla
40 gr di burro di cocco fatto in casa
160 gr di burro di latte vaccino fatto in casa
200 gr di farina 00
50 gr di farina di cocco
1 uovo
100 gr di zucchero
scorza di limone grattugiata
Per il ripieno
4 pesche saturnine (dette anche tabacchiere) grandi
80 gr di latte di cocco
120 gr di marmellata di frutti di bosco
3 uova
100 gr di farina 00
50 gr di farina di cocco
Procedimento
Prepariamo la frolla nel solito modo e, dopo il riposo in frigo, rivestiamo uno stampo da crostata da 24cm. Diamo una quindicina di minuti di cottura in bianco.
Mescoliamo tutti gli ingredienti, tagliamo a pezzi e le pesche. Sistemiamo i pezzi di pesche sulla base e versiamo nel guscio di frolla ed inforniamo a 180° per ca. 30’ (prova stecchino). Viene una cremina slegata molto morbida e delicata! Lasciamo raffreddare, poi sformiamo e decoriamo a piacere con zucchero a velo (nel mio caso non l’ho messo)