Da qualche anno c’è la grande mania, mia compresa, di fare regali di Natale che siano non solo fatti in casa ma rigorosamente di stampo cibesco. Biscotti, in particolare. Se non ci sono barattolini o sacchettini di biscotti, non li vogliamo. E, bene inteso, la prossima ricetta riguarderà proprio quelli, perché ultimamente ho fatto dei biscottini irrinunciabili ma la ribellione quest’anno è stata forte: non regalini ma più dolci delle feste per tutti.
Ogni tanto qualcuno mi ricorda tutto quello che abbiamo fatto, che avete fatto, ai tempi della protesta per il Santa Lucia, la Fondazione dove da tanti anni Albertino (come convenzionalmente chiamo il mio bandito di nove anni), svolge la sua fisioterapia, unico centro qui a Roma in grado di aiutarlo.
La crema pasticcera, quanto è buona? Quella che avanza poi, ha un non so quale appeal che ti fa prendere un cucchiaio e mangiarla. Il “Posso lasciare questo po’ di crema nella ciotola? Neanche a sporcare un contenitore, per una simile quantità.” è più o meno il pensiero costante.
Arriva l’autunno e la voglia di mele si fa sentire. Alzi la mano chi non desidera ardentemente un ciambellone con le mele, una crostata che mostri orgogliosa tutti gli spicchi, una tarte tatin da far resuscitare i morti. E’ così, non c’è nulla da fare.
Le mele fanno sempre dolce: da quello più semplice a quello più complesso.
Ogni tanto i miei hanno il potere di smontare tutti i miei entusiasmi culinari.
Avevo tutto il tempo, tutta la voglia e (quasi) tutti gli ingredienti per preparare ciò che avevo in mente per Pasqua (che come al solito avrei trascorso all’amatissimo paesello paterno, Sapri-ultimo paese della Campania-ndr) quando mio padre, in piena telefonata di prima mattina, quella fatta per sapere come stesse Albertino (sceso precedentemente con loro), mi apostrofa con un “non fare dolci, non fare niente, che qui non possiamo mangiare tanto e basta”. Nessuna possibilità di appello.