Frappe (o chiacchiere, lattughe, crostoli, cenci, etc etc) dicevamo. Quelle di Biasetto che tanto mi hanno colpito, sono qui. Mi piace tanto, questo dolce. E , sapendo che esistono tante versioni di servirle, dipendenti dalla regione d’Italia ma anche dalle tradizioni di famiglia, ho pensato di chiedere ai miei amici su fb come le condissero. Ne è venuto fuori una girandola di sapori che ho pensato di condividere con voi, perché ogni frappa ha il suo carattere, la sua indole, il suo modo di essere.
Sarà che per Natale non sono riuscita a scrivere nulla, sarà che Carnevale quest’anno finisce presto, io oggi dovevo fare frappe e, soprattutto, dovevo condividerle con voi. Ieri sono andata al supermercato e in un attimo di sconforto ho comprato un vassoietto di frappe al banco del pane. Si dà il caso che in generale siano fra i dolci preferiti di mio figlio, il quale, dopo aver assaggiato quelle comprata, ha sentenziato: “non capisco perché tu le abbia comprate, dovevi farle tu.”
Visti l’anno scorso girovagando fra i vari siti e appurato che erano la nuova follia collettiva di Napoli, ho detto a lei: la prossima volta che vengo a trovarti, mi porti a provarli? E così fu, anzi Pasqualina mi portò direttamente una bella scatola colma di quelli che potremmo chiamare “i famigerati”: i fiocchi di neve di Poppella, ovvero piccole brioche tondeggianti ripiene di una crema di ricotta, morbidi e golosi che provenivano da una piccola pasticceria del rione Sanità, Poppella appunto.
Storia di un momento (quasi) idilliaco.
La classica scena che fa tanto casa felice: una mamma (io) che impasta biscotti davanti alla figlioletta (La Pasionaria) che la guarda attenta. E ditemi che ogni mamma appassionata di cucina non sogna nella sua testa questo sacro momento didattico, tutto fatto di trasmissione di sapere, di proseguimento del proprio lavoro, di senso di continuità, etc etc.
In principio era l’aperitivo. Stuzzicante per l’appetito, nato a Torino, diffusosi poi in tutta Italia, era una cosa da bere, una bevanda da guardare, una tradizione da vivere.
Era bello, l’aperitivo. Era longevo, durava in Italia da due secoli. Ma la vita è ingiusta e l’aperitivo ha dovuto cedere il passo. Già, ma a cosa?
In genere guardiamo alla cucina straniera (o etnica che fa più chic!) sempre con l’aspettativa di trovare ingredienti nuovi, piatti diversi, sconvolgenti, che possano portarci sapori e profumi mai sentiti. Non necessariamente migliore dei nostri, anche perché, lasciatemelo dire, è davvero difficile superare la cucina italiana, ma proprio per il gusto del non conosciuto.. specialmente poi quando si va allo sbaraglio, solo perché è di moda: quante volte tornando a casa ci siamo ripresi con una piatto di spaghetti al pomodoro, che saremo-anche-i-soliti-italiani ma tanto il piatto in questione spettacolare (e pure chic) resta!